Il 4 febbraio il Tribunale di Torino ha dato il via al processo contro 28 No Tav che, secondo la Procura, si resero protagonisti della protesta contro l’inizio dei sondaggi geognostici a Venaria.
Se il reato specifico ipotizzato è quello di violenza privata per il blocco di un camion che trasportava una torre faro al luogo del sondaggio, a ben vedere sotto accusa è la 3 giorni di mobilitazione e presidio permanente che il movimento No Tav costruì insieme agli abitanti di Venaria.
Momenti informativi, assemblee e cene si susseguirono senza sosta, dando modo al movimento di incontrare i cittadini che, di quel poco che sapevano dei lavori prospettati, non erano affatto contenti.
Gli abitanti delle case di Via Amati raccontarono del cantiere che avrebbe occupato il cortile dove fino a quel momento avevano giocavano i loro figli e di una casa acquistata con i sacrifici di una vita che sarebbe stata in balia del rumore e dell’inquinamento di lavori decennali.
I tre giorni di presidio si svolsero con un notevole schieramento di forze dell’ordine che presidiarono quel lembo di terra giorno e notte, senza riuscire però a intimidire il presidio No Tav e a evitare il rallentamento dei lavori. Ad un certo punto, a fronte della partecipazione alla protesta , valutarono che non era più il caso di rimanere e smontarono tutto celermente senza rispettare i tempi da loro previsti al completamento del sondaggio.
Il procedimento giudiziario contro i 28 No Tav nella giornata di ieri ha subito però un primo rallentamento, grazie ad una questione tecnica posta da uno degli avvocati della difesa ed è stato rinviato al 4 marzo.
Da sottolineare come il Tribunale di Torino continui ad ignorare la legge sulla competenza territoriale spostando a Torino un processo che si sarebbe dovuto svolgere a Ciriè, sempre per esigenze di “ordine pubblico” e dietro segnalazione della Questura. Una strada, oramai, praticata fedelmente (vedi i processi che si sarebbero dovuti svolgere a Susa e che invece sono stati spostati a Torino).
Dietro questa condotta, checché ne dica il tribunale, c’è un disegno politico preciso: cercare di intimidire il movimento e tentare di criminalizzarlo agli occhi dell’opinione pubblica.
Da parte nostra, come sempre, rispediamo indietro al mittente tutte le accuse consapevoli che non troveremo giustizia in queste aule di tribunale ma che, sicuramente, combatteremo insieme agli imputat* un’altra buona battaglia.
vedi articolo del 27 gennaio 2010 e qui di seguito un video di repertorio: