In queste concitate ore di preparazione del governo tecnico di Mario Draghi si torna a parlare di ecologia e grandi opere.
In Val Susa la storia delle decisioni tecniche è una grande storia. Ci hanno detto che era una scelta tecnica quella di fare un secondo tunnel tra Torino e Lione ma poi i dati di traffico su cui si basava questa decisione sono stati sconfessati dagli stessi promotori dell’opera. Ci hanno detto che era tecnica la decisione di far passare il tunnel di base a Venaus ma dopo che i costruttori sono dovuti scappare con la coda tra le gambe cacciati dai valsusini hanno ammesso che la variante era “sovradimensionata” e “troppo impattante”. Ci hanno detto che la nuova mega stazione di Susa era perfettamente tecnica, poi dopo le proteste anch’essa è diventata “megagalattica”. Insomma, “decisione tecnica” significa “circolate, qui non c’è niente da vedere”. E invece noi abbiamo sempre voluto vedere, studiare e farci un’idea con la nostra testa.
Disboscamenti, distruzioni di pascoli e vigne: il TAV devasterà completamente una buona porzione della Val di Susa. I promotori dell’opera hanno annunciato l’abbattimento di migliaia di alberi per far passare il Treno del Progresso. Mentre scriviamo, l’habitat naturale della xerinthya polixena, una rarissima farfalla alpina che vive solo in Val Clarea, viene mangiato dalle ruspe. Il cantiere emetterà, come hanno già annunciato i nuovi saltimbanchi della “green” economy, 10 milioni di tonnellate di CO2 portando decine di migliaia di camion su e giù per la Val Susa in mezzo ai centri abitati. Cosa servirebbe per recuperare queste emissioni mostruose, che spargeranno polveri sottili fino a Torino mettendo in pericolo la salute, in particolare dei bambini, per decenni? Per recuperare le emissioni del cantiere, dopo 20 anni di esalazione con conseguente aumento del 10% di malattie respiratorie e cardiocircolatorie annunciato dai promotori, ci sarebbe bisogno di un aumento del traffico su rotaia da 3 a 24 milioni di tonnellate e un aumento del traffico totale Italia-Francia del 30%. Uno scenario semplicemente impossibile come ha anche chiarito recentemente la corte dei conti UE. Ma d’altronde nonostante il grottesco cerone verde che i signori del TAV provano goffamente a mettersi da qualche anno, che l’obiettivo sia costruire per costruire piuttosto che spostare le merci dalla gomma al ferro pensiamo sia chiaro a tutti. Basti pensare che una linea AV tra Torino e Lione c’è già. Il tunnel esistente è stato rinnovato a più riprese tra il 2003 e il 2011 con un cospicuo investimento per renderlo compatibile con sagome limite GB1. Ci potrebbe passare, da oggi, il 90% dei camion che impestano la Val Susa eppure il tunnel è usato al solo 30% delle sue capacità.
Insomma, fermare il TAV è il minimo sindacale dell’ecologia. Il compitino da prima elementare per qualsiasi politica veramente “verde”. Ma la questione TAV dimostra anche che la “transizione ecologica” è una questione molto politica e poco tecnica. La difesa dell’ambiente non è un’abbuffata confindustriale: ci sono industriali da scontentare, lobby d’interessi che remano contro, colate di cemento da fermare. È una questione che richiede coraggio e idee chiare, quelle che sembrano siano sempre mancate ai vari partiti che si professavano notav fino all’arrivo in parlamento ma che non hanno mai fatto della salvezza del Val Susa una questione dirimente che potesse rimettere in dubbio la loro permanenza sull’agognata poltrona.
Allora ci chiediamo: a cosa serve un ministero della transizione ecologica se non si riesce nemmeno a fermare il TAV?