post, top — 2 Luglio 2011 at 10:18

Check Point Avanà… GUARDA VIDEO INTERVISTE

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di Marco Arturi per Carta.org

Il vignaiolo si sta recando tra i filari. Sono giornate fondamentali, nelle quali la vite va seguita con costanza e attenzione e alcuni trattamenti si rendono necessari o addirittura indispensabili. Arriva all’imbocco della strada ai margini della quale sorgono la sua vigna e quelle di tanti altri contadini che lui conosce da sempre: questa è la sua terra e qui tutti fanno vino, non è un caso che la salita porti il nome dell’uva più tipica e diffusa della zona. Mezzi blindati bloccano l’accesso, un uomo armato, in divisa da combattimento, gli chiede i documenti. Palestina? No. Val di Susa, Italia, anno duemilaundici.

Le vigne dell’Avanà di Chiomonte, delle quali Enodissidenze aveva parlato qualche settimana fa sono diventate territorio occupato. Dopo l’operazione militare che lunedì 27 giugno ha portato allo sgombero della «Libera Repubblica della Maddalena» l’accesso all’intera zona è proibito. A farne le spese sono soprattutto i viticoltori, sottoposti a un controllo quotidiano mortificante al checkpoint istituito dalle forze dell’ordine; a qualcuno di loro, rimpallato tra carabinieri e municipio, è stato addirittura proibito l’ingresso. Passano – e nemmeno sempre – soltanto gli intestatari delle aziende, mentre gli operai che collaborano con loro non possono entrare. La cooperativa Clarea, la cui sede sorge all’interno dell’area, non può ricevere i clienti che vogliono acquistare i vini e si è vista montare le baracche del cantiere Tav nell’area della cantina. Questa situazione si protrarrà per un bel pezzo e prelude all’inizio di lavori che con ogni probabilità avranno effetti devastanti sulle vigne.

Questa gente rischia di perdere una vendemmia o, peggio, di essere costretta ad abbandonare la vigna. Non è fantascienza, è già successo ai tempi della costruzione dell’autostrada. E’ cronaca, è storia che si ripete.

Se una situazione del genere si fosse verificata a Barolo o a Montalcino avremmo sicuramente assistito a una sacrosanta mobilitazione generale in difesa di quei territori e di quei vignaioli. In questo caso il silenzio è sicuramente dovuto alla cortina fumogena dietro alla quale un’informazione asservita cela le notizie scomode nella vicenda Tav. Ma questo non toglie nulla alla gravità di una situazione di fronte alla quale, ne siamo certi, vignaioli, giornalisti, bloggers e operatori del settore non tarderanno a manifestare la propria indignazione.

Qualcuno obietterà che la colpa è stata dei No Tav, che avrebbero dovuto lasciare che i lavori cominciassero senza creare problemi. Ma i No Tav non sono più nell’area. Qualcuno dirà che è una questione di sicurezza, che polizia e carabinieri stanno lì per garantire la libertà di impresa. Ma la libertà di questi viticoltori artigiani viene calpestata insieme alla loro dignità.

Ecco perché Enodissidenze e Carta invitano chiunque operi a qualsiasi titolo nel mondo del vino a manifestare in forma concreta la propria solidarietà a questi vignaioli, che già nella normalità praticano una viticoltura non a caso definita «eroica» e svolgono una funzione di salvaguardia del territorio e di un patrimonio ampelografico che non può andare perduto.

Chiediamo ai colleghi giornalisti e blogger di dare la giusta visibilità a questa vicenda e al nostro invito. Ci offriamo come tramite [il mio indirizzo mail e il mio numero di telefono sono facilmente reperibili nell’ambiente] tra i vignaioli della valle ribelle e coloro che vorranno esprimere loro una vicinanza. A cominciare, auspichiamo, dai viticoltori più fortunati e dalle associazioni rappresentative della viticoltura indipendente, artigiana e naturale.

Speriamo che nessuno commetta l’errore di pensare «non mi riguarda»: sarebbe il primo passo per ritrovarsi un giorno di fronte a qualcuno che decide se darti il permesso per entrare nella tua vigna.