Il 15 ottobre è stata una giornata intensa per tutto il nostro paese, giornata che rimarrà impressa nella memoria, una giornata che fa paura, a tanti, a molti. Il movimento no tav era a Roma, non per la prima volta, neanche per l’ultima, fiero, con le sue bandiere, con la sua lotta. Un forte appello da queste pagine era partito una settimana prima “Valsusa chiama Italia”, come un grido, da una valle che resiste, da una valle che lotta, un grido di aiuto e un grido di speranza. Roma è il centro politico da cui vengono prese le decisioni, lì le sorti del nostro territorio vengono discusse, lì il nostro futuro deciso. Se da un lato con caparbietà e coraggio la val di Susa resiste a Chiomonte impedendo l’avvio dei lavori dall’altro il movimento no tav ha bisogno di far cadere il mandato politico che regge e legittima l’occupazione militare. Il no tav tour,la partecipazione alle manifestazioni degli indignati , alle lotte studentesche sono quindi la risposta che il movimento dà al secondo pezzo del problema. Per questi motivi a Roma il movimento no tav ha sfilato e lottato. Il giorno dopo come sempre le condanne arrivano unanimi, come quando in val di Susa le giornate di lotta diventano reali, incidono e fanno male, a chi questa valle la vuole devastare. Da un lato una casta, fatta di pochi “politici” e banchieri che tragicamente stanno impoverendo il mondo e i popoli, dall’altra centinaia di migliaia di persone che si battono per fermarli.
Qui iniziano i problemi della giornata del 15 ottobre. C’è voglia di lottare, di manifestare, di esserci, c’è spazio per tutti ma il mandato non è chiaro, l’obiettivo è appannato. In tutto il mondo i centri dei poteri bancari e politici sono paralizzati. Lo stesso slogan occupywallstreet diventa pratica e con tanto coraggio, consapevoli di rischiare l’arresto i manifestanti newyorkesi e poi quelli londinesi sfilano e occupano le strade sotto le borse. A Roma non è così, il corteo è enorme ma nessuno ha avuto il coraggio di imporsi, di pretendere o praticare un percorso che vada diretto al centro cittadino, al parlamento alla banca centrale. Prima anomalia tutta italiana quindi, un corteo che nonostante le parole d’ordine chiare di blocco, accampada o altro ancora, dette nei giorni precedenti, sfila diretto verso la periferia, verso un improbabile comizio finale ed un palco che da subito imbarazza. Sarebbe stato un po’ come se il tre luglio a Chiomonte invece che partire da Exilles verso il fortino della Maddalena ci fossimo diretti in direzione opposta verso la Francia. Cosa avremmo detto a fine giornata? Non ce l’abbiamo fatta ma eravamo tantissimi? Quanti avrebbero ascoltato il comizio finale? Quanti di noi avrebbero creduto ancora nella lotta no tav? Iniziano quindi i problemi, la polizia dopo poco carica dalla coda il corteo, in una via insensata, residenziale e da lì iniziano scontri che si protraggono fino a tarda sera in ogni parte della città. Per lo spezzone no tav non è facile proseguire ma con forza e soprattutto insieme si va avanti. Un fronteggiamento pesante inizia con chi in quella giornata difende o pensa di difendere lo stato, di cosa e di chi sarebbe poi interessante iniziare a riflettere. Il giorno dopo le parole si sprecano ma un forte imbarazzo e una latente paura attraversa tutti, soprattutto i politici. Migliaia di ragazzi hanno messo a ferro e fuoco Roma. Una visione riduttiva e semplificante vede nel mostro black bloc la risposta. Facile, troppo facile. Per chi invece aveva voglia di capire qualcosa e aveva coraggio di farlo bastava andare in piazza san Giovanni, lì avrebbe trovato un pezzo di Italia, di Roma. Tanti ragazzi che lottavano, a modo loro, contro quello che avevano davanti, sfogando rabbia in maniera confusa ma con un messaggio chiaro e con la forza di chi davanti a sé non vede un futuro. Negare questo significa non avere poi i mezzi per interpretare e costruire un cammino che sappia andare oltre quella giornata e che inevitabilmente sarà capace di produrne nel migliore dei casi altre uguali. Non darsi degli obiettivi da praticare e non praticarli significa non avere poi i mezzi per iniziare delle discussioni sul come praticarli. Se l’obiettivo è fermare la casta e la crisi finanziaria non si può non andare insieme tutti e in modo chiaro dove questa casta vive, si riproduce e decide. Se vogliamo farlo insieme dobbiamo avere il coraggio e la forza di provarci e solo dopo decidere come. Inutile oggi prendere le distanze o dire così non va bene così non si fa o ancora peggio pensare che i giovani che erano a Roma a piazza san Govanni sono un problema per il movimento. Il problema italiano sono e restano i politici, le banche, i finanzieri che in maniera mostruosa risucchiano ricchezza e impoveriscono il mondo. Quando avremo la forza di affrontare questo problema in maniera chiara forse riusciremo a capirci e a fermarli. Se nel movimento no tav si vive e si lotta da oltre venti anni insieme è grazie alla bontà e alla semplicità dei suoi obiettivi. Se da oltre venti anni il movimento riesce a ripensarsi e a discutere è perchè una rottura e una distanza netta viene posta tra chi vuole costruire il tav e chi vuole invece fermarli. Le reti di del fortino di Chiomonte sicuramente aiutano a capire da che parte stare, se però a quelle reti non ci fossimo andati non sarebbe stato così facile per tutti capire cosa si combatte e soprattutto dove. E’ possibile fermare il tav come è possibile fermare la casta, basta volerlo e farlo insieme.