Per i prossimi due anni un No Tav residente a Torino non potrà «entrare» nei territori dei Comuni di Chiomonte, Exilles, Giaglione, Venaus, Susa e Bussoleno. Il provvedimento è stato notificato all’interessato dalla Digos in seguito alla contestazione decisa dal movimento al passaggio dalla Valsusa, la notte fra il 23 e il 24 luglio, del treno con le scorie nucleari proveniente da Saluggia e diretto in Francia. In quell’occasione un fitto cordone di polizia impedì ad alcune centinaia di manifestanti di raggiungere la stazione di Bussoleno, mentre altri attivisti cercarono di pervenirvi in treno: 115 persone furono identificate sul convoglio. Con altre 30 si fece altrettanto sui binari, dopo che erano riusciti ad occuparli per pochi istanti.
Intanto fa discutere la presa di posizione del Servizio civile internazionale, che ha paragonato la Valsusa alla Palestina. «È come nei territori oppressi dall’occupazione militare israeliana: esercito, filo spinato, posti di blocco ovunque. E diritti calpestati. Siamo a Chiomonte per testimoniare la nostra solidarietà al movimento No Tav e lottare pacificamente al suo fianco».
Parole di Sara Brivio, 30 anni, milanese, attivista della Ong che questa estate ha organizzato un campo di lavoro in Val di Susa. All’appello dell’associazione a recarsi in Valle hanno risposto in undici. Sono arrivati – zaino in spalla – da Friuli, Lazio, Toscana, Lombardia. E dal Piemonte, ovviamente. Lavoreranno fino al 26 agosto nel «campeggio resistente» di Chiomonte, la tendopoli «treno-crociata» eretta a poche decine di metri dalle reti che da un anno proteggono il cantiere dagli oppositori più violenti (25 fino ad ora gli assalti, centinaia i feriti fra le forze dell’ordine, decine di arresti e denunce).
I volontari da una settimana stanno curando la manutenzione delle aree verdi, la costruzione di muretti a secco, l’accoglienza dei campeggiatori, il funzionamento del media center. Appoggio logistico, ma non solo. «Il nostro obiettivo è quello di ricostruire approfondendo innanzitutto la conoscenza del territorio e delle popolazioni che vivono nelle aree di conflitto», puntualizza Sara.
La Val di Susa zona di guerra come la Palestina? «Fatte le debite proporzioni, ci sono forti analogie, inutile negarlo: contadini costretti a esibire i documenti ai checkpoint per accedere ai campi da lavorare; case e terreni espropriati perché nell’area dichiarata “di interesse strategico”; la polizia spara gli stessi lacrimogeni usati dall’esercito israeliano», spiega Stefania Pizzolla, da 6 anni presidentessa della sezione italiana del Servizio civile internazionale.
«Crediamo nello sviluppo sostenibile, il rispetto dell’ambiente, le energie alternative. E condividiamo senza riserve la lotta e la resistenza – possibilmente pacifiche e non violente – dei No Tav, perché la Torino-Lione avrà un impatto economico ed ambientale devastante», spiega Pizzolla. E gli attacchi al cantiere con fionde, molotov e bombe carta che hanno causato centinaia di feriti fra le forze dell’ordine? «Non ho visto, quindi non posso giudicare. Si tratta in ogni caso di gesti simbolici comprensibili. Perché quel cantiere è stato imposto con arroganza e senza alcuna necessità: l’assalto alle reti è giusto perché esprime solo la rabbia per le ingiustizie subite».