Dopo le tensioni degli ultimi giorni in Valle di Susa e la campagna mediatica per la criminalizzazione del movimento, sono andato al presidio di Chiomonte per vedere un po’ che aria tira. Breve reportage su un viaggio in quella che potrebbe diventare la Piazza Tahrir d’Italia… almeno lo spero.
I giochi del potere rispondono, ovunque alle stesse ataviche regole. Tra chi le applica in modo raffinato e discreto e chi le applica in modo grezzo e vistoso. Ma il fondo rimane lo stesso: se un movimento popolare dà fastidio ai potenti, bisogna farlo percepire al comune dei mortali come pericoloso, per legittimare la sua repressione. L’ex presidente Cossiga, come citato in questo blog in un post precedente (Baltaghia!), lo spiegava bene. La formula é semplice: infiltrare, far degenerare la situazione, poi scatenare la repressione. Questo vale in Egitto, in Siria come in Valle di Susa.
La strategia della tensione fa parte della storia, sin dall’inizio della controversia sulla realizzazione della nuova linea Torino-Lione. A periodi alterni le autorità e le parti politiche favorevoli all’opera sono passate dalla criminalizzazione, alla ridicolizzazione, ai finti tentativi di dialogo. Finora un dialogo sincero e serio con la popolazione della valle e con il movimento “No-Tav” non è mai stato instaurato.
Questi ultimi giorni, da quando i partecipanti al presidio permanente della Maddalena, a Chiomonte, hanno resistito al tentativo di apertura di un nuovo cantiere nella Val Clarea, autorità e mezzi di informazione al servizio si sono scatenati. I partecipanti alla “resistenza No-Tav” sono descritti come pericolosi terroristi. Non è la prima volta. É un tema vecchio. É vecchia anche la gestione della tempistica da parte del Centrosinistra Piemontese. Hanno, ad ogni volta fatto regnare il silenzio più completo prima delle elezioni. Per poi scatenarsi contro la Tav subito dopo. Mi ricordo ancora come la Bresso nel 2005 aveva dichiarato che il movimento No-Tav era solo un gruppo di “bombaroli”, subito dopo la sua elezione. Salvo stupirsi poi, nel 2010, che la Valsusa non l’abbia votata.
Di fronte agli ultimi attacchi contro il movimento, in puro stile stragistico degli anni 70-80, con tanto di pallottole e lettere di minaccia recapitate ad alcuni parlamentari Pd. E con la stampa maggioritaria che parla di infiltrazioni criminali nel movimento e di professionisti della violenza. Di fronte a tutto ciò, ho deciso di andare in Valle, al presidio permanente di Chiomonte, per capire che aria tira.
Uscendo da Torino ho preso la tangenziale in direzione di Avigliana. Entrando in valle, ho deciso di non prendere l’autostrada del Frejus e di uscire a Avigliana Est. La prima cosa che colpisce il viaggiatore di passaggio in ogni comune della valle è la diffusione dei simboli “No-tav”. Bandiere, striscioni, scritte. Tutto in valle di Susa è testimonianza della popolarità della causa. Le strade sono agghindate di bandiere No-tav, le macchine sono targate No-Tav. I campi, gli alberi e le montagne parlano No-Tav.
Dopo Susa, finisce la bassa Valsusa martoriata dalle numerose strade, ferrovie e capannoni, e inizia la salita verso le alte valli. Qui la natura rigogliosa, in questa fine primavera, la fa da padrona. Il verde intenso impregna l’aria di profumi inebbrianti. Un paradiso naturale se non fosse per i viadotti dell’autostrada e delle ferrovie, che la trafiggono con violenza, in vari punti. Solo guardando le centinaia di camion che scorrazzano sull’autostrada, mentre la ferrovia rimane silenziosa per lunghe ore, ci si rende conto della tragedia che “il progresso” ha portato a questa terra.
A Chiomonte, in Val Clarea, la gente, sorriso accogliente e sguardo fiero, mi indica la strada del presidio “Libera Repubblica della Maddalena”, costruito vicino ad una omonima area archeologica. “stanno tutti lì”, dice un signore appena uscito da una osteria, come se parlasse del resto della propria famiglia.
Finalmente arrivo al presidio. L’ingresso assomiglia ad una fortezza pirata. Cittadini della valle e attivisti giunti da tutta Italia costruiscono barricate. Gabbioni e strutture metalliche saldate. Sono barricate da montanari, fatte “come dio comanda”. Non come quelle delle città che sono fatte come capita e di quello che capita.
Dentro il campo ci sono tende e gazebo, tavoli e sedie. La gente è indaffarata a preparare la “guerra”. Si cucina, si leggono libri, molti prendono il sole sui prati, qualcuno attinge birra da bottiglie messe a disposizione su un tavolo. Alcuni amici del “Comitato No Tav Torino” mi invitano a supervisionare i loro preparativi bellici. Infatti, stavano alzando un enorme palloncino bianco in aria, armato della parola d’ordine più diffusa nella valle: NO TAV.
Una signora, aspetto dolcissimo da maestrina, con quelli stupendi occhi azzurri chiari che hanno molti abitanti delle valli pedemontane, mi fa visitare il campo. La gente è cordiale ma decisa. “Difenderemo la valle a tutti i costi”, dice uno seduto ad un tavolo, alzando minacciosamente un bicchiere di birra, come per brindare.
Alcune pericolosissime coppie anziane della valle entrano nel campo armate di micidiali teglie di crostate con confetture casalinghe.
– “Siete voi i famosi terroristi valsusini?” – lancio io nella loro direzione.
– Si mettono a ridere. “Sì. -mi risponde uno di loro- Portiamo armi di nutrizione di massa!”
– Poi subito ridiventa serio: “ Gli unici terroristi in questa storia stanno nel governo e nei mezzi di stampa.”
Lascio il campo dopo aver assistito all’inizio dell’assemblea pubblica. Tutti in cerchio discutono e cercano di prendere decisioni. Non sembra un compito facile viste le tantissime anime che compongono la resistenza No-Tav. Non sempre si va d’accordo tra correnti di pensiero così diversi, ma si dialoga con rispetto e si cercano soluzioni comuni, consensuali.
“Questo è il modo di costruire la democrazia vera, quella diretta. -Penso tra me- Non quella che si esporta con i missili.”
Lascio Chiomonte mentre comincia a farsi sera. Le immagini dei cittadini della valle in assemblea si sovrappongono nella mia memoria con quelle viste su internet sulle assemblee in Piazza in Egitto o in Tunisia. Mi dico che in fondo, sia qui che lì, si sta lottando per gli stessi ideali. Per imporre la voce della piccola gente. Le forze da affrontare non sono qui così palesemente violente. Ma sotto sotto rispondono agli stessi padroni e hanno la stessa visione del potere.
Sarà Chiomonte come una piccola Piazza Tahrir d’Italia? Sinceramente me lo auguro.