da CinemaItaliano – Al film “QUI”, di Daniele Gaglianone, sui cittadini NoTav, è stato attribuito il Premio Gli Occhiali di Gandhi. Assegnato dal Centro Studi “Sereno Regis” di Torino, la cui Giuria assegna il Premio Gli Occhiali di Gandhi al film che meglio interpreta la visione gandhiana del mondo, con la seguente motivazione: “Per aver saputo raccontare in modo onesto e diretto come una comunità stia portando avanti da tempo una lotta per i diritti e i beni comuni con molteplici strumenti nonviolenti. Una riflessione sulla democrazia che rovescia gli stereotipi della politica e dell’informazione.”
Commenta il regista Daniele Gaglianone: “E’ bello ricevere un premio così. Anche perché dimostra che, al di là della mediatica cortina fumogena, è possibile riconoscere in chi lotta contro il Tav Torino Lione una attitudine al confronto non violento, attitudine spesso frustrata in questi lunghi anni dall’arroganza della politica locale e nazionale. Bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che l’esasperazione che sfocia nello scontro è anche il risultato della chiusura estremista nei confronti delle ragioni della popolazione valsusina“.
Torino 32 – Qui – TFFdoc/democrazia
da Close up -Aiutiamoli a parlare. E sottovoce, per carità.
Ne abbiamo abbastanza di questa realtà italiana modellata sui talk show televisivi in cui ognuno si sente in grado di urlare tutto e il contrario di tutto. A questa ridda sabbatica di voci opponiamo i toni di chi argomenta, invece, con calma passione.
Perché gli argomenti, quelli veri, quelli maturati nello spazio di lunghe riflessioni, hanno bisogno di distendersi in parole e in silenzi.
Hanno poi bisogno della pausa degli sguardi, quando ci si prende il tempo di fissare il proprio interlocutore per vedere se ha ascoltato, se ha capito quello che si sta dicendo, magari senza cambiare la propria posizione, ma con il giusto atteggiamento del dialogo che passa per le pause, che cammina tra le parole insinuandosi nei cuori.
Il miracolo di Qui, perché di miracolo possiamo propriamente parlare, è quello di scendere tra la gente per ascoltare. Con quiete, con attenzione, con il rispetto che si deve sempre all’altro. Soprattutto quando ha così tanto bisogno di dirsi e farsi capire.
Qui non è un documentario è piuttosto un dare voce. E non la voce amplificata da un megafono che scende nelle piazze e riempie spazi, ma quella raccolta da un microfono e una macchina da presa, quella che per ascoltarla devi prima farti piccolo e poi accogliente.
Per troppo tempo le vicende della Val di Susa sono state dominio della sola informazione televisiva. Per troppo tempo la penisola si è lasciata suggestionare dall’idea di facinorosi che urlano per fermare l’avanzata del progresso. E per troppo tempo ci è piaciuto pensare che le lamentele espresse dalla popolazione di lì dipendessero solo dal fatto che l’immensa opera di costruzione della tratta ferroviaria Torino-Lione prendesse corpo nel giardino di casa loro.
Gaglianone trasforma quel lì nel nostro Qui e, per farlo, dona alle persone la cosa più importante che non è il mezzo cinema finalmente nelle loro mani, ma lo spazio necessario a raccontare. Due ore: tutto il tempo che ci vuole!
Il regista prende alcuni personaggi esemplari e li lascia liberi di accompagnarci. Tanti piccoli Virgilio per i gironi di un inferno sempre più stretto e freddo.
Gabriella Tittonel, ad esempio, un’attivista cattolica che per lo più va vicino ai cantieri per pregare, nella speranza che qualcosa cambi. Come una Lucia prigioniera nel castello dell’Innominato.
O Cinzia Dallepezze, infermiera esasperata dall’uso, durante gli episodi di vera e propria guerra che sono state le manifestazioni, di lacrimogeni che sono illegali dappertutto tranne che nel nostro Bel Paese che li lancia ai cittadini.
O del sindaco del paesino convocato d’urgenza a Torino affinché utilizzasse le forze dell’ordine a sua disposizione per sgomberare i manifestanti. Proprio lui che aveva a sua disposizione solo un vigile part time e che, dopo gli scontri, è diventato un convintissimo NoTAV.
Tutte persone normali, tutte persone convinte di essere dalla parte del giusto perché quel progetto che va avanti scellerato non tiene conto dell’area di dissesto geologico sulla quale opera, né dell’impatto ambientale che procura, né del fatto che essa è portata avanti da tutta una serie di ditte gravemente implicate in traffici più o meno illeciti.
Un progetto, a dirla tutta, cui non hanno potuto partecipare ditte fuori d’Italia e allora perché tanta Europa riempie la bocca di quel governo che caldeggia il completamento dei lavori?
Gaglianone compone così un dolente viaggio agli inferi, fermandosi di fronte ad ogni condannato con la stessa pietas di un Dante redivivo, consapevole che, alla fine del viaggio c’è sempre la Giudecca del tradimento. Un tradimento consumato dalle stesse istituzioni che non hanno saputo né voluto ascoltare e che hanno opposto alle manifestazioni la legge dello scudo contro scudo, nella convinzione di avere il braccio più forte sul tavolo da gioco.
Il grande merito di Qui è l’aver aperto spazio al dialogo. L’averci messo di fronte all’umanità di chi protesta. Per ricordarci che la democrazia si fonda sul dialogo.
Loro hanno parlato. Noi sappiamo ancora ascoltare?