di Marta Sauri
«Gli ospedali chiudono, le scuole cadono a pezzi, i giovani vanno a studiare e a fare ricerca all’estero, i treni pendolari vengono soppressi e a Chiomonte, in Val di Susa, da più di tre mesi il governo spende 90mila euro al giorno per sorvegliare un cantiere. Non è forse l’ora di dire basta?». Dopo un estate all’insegna della protesta contro la realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione i comitati No-Tav si rivolgo al Paese invitando i cittadini ad aderire alla loro lotta. «Essere No-Tav» spiegano «significa bloccare la casta che ci ha portato in questa crisi economica». E ancora, «Essere un No-Tav significa scommettere sul futuro di questo Paese, lottare per cambiarlo e proporre tante piccole opere utili e investimenti essenziali per uscire dalla crisi». Cambiano le parole ma il messaggio resta sempre lo stesso: «La Tav è una grande opera pubblica che non serve a nulla se non a rifinanziare le casse della mafia e dei partiti».
Ieri al cantiere della Maddalena di Chiomonte sono iniziati i carotaggi del terreno propedeutici alla realizzazione dell’opera. Alla guida dei mezzi ci sono gli uomini della Geomont di Bussoleno a cui la Ltf (Lyon Turin Ferroviaire), la società italo-francese responsabile del futuro collegamento ferroviario, ha affidato l’incarico. A salutare con entusiasmo l’accensione dei motori, il Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota: «È una bella cosa che siano cominciati i sondaggi geognostici a Chiomonte e che non ci siano stati incidenti. Andiamo avanti perché la Tav è il futuro». La pensano diversamente i valsusini che denunciano l’intento strumentale dell’intera operazione. L’arrivo della nuova trivella non sarebbe, secondo i No-Tav, che un modo come un altro per dare l’impressione che a Chiomonte qualcosa si muove.
«È dal 27 giugno che le forze dell’ordine occupano terreni di proprietà pubblica», spiegano gli attivisti, «terreni che non sono quelli in cui dovrebbero però iniziare i lavori». Il cantiere infatti dovrebbe sorgere nei terreni a nord delle recinzioni che appartengono per oltre il 90 per cento ai comitati che si battono contro la realizzazione dell’opera. «Ad oggi queste recinzioni rappresentano una mera bandierina mediatica con la quale il governo e in particolare i politici locali piemontesi stanno ingannando l’Italia e l’Europa per avere accesso ai fondi comunitari riservati alle grandi opere. Oltre all’occupazione militare in val di Susa non succede altro e quello che viene spacciato come cantiere è in realtà un fortino vuoto difeso da centinaia di poliziotti». La sorveglianza dei militari, sottolineano i No-Tav, costa alla collettività centinaia di migliaia di euro, cifre da capogiro che pesano gravemente sulle casse del ministero degli Interni.
«È il denaro che questo governo recupera con le manovre finanziarie tagliando servizi e investimenti» denunciano i valsusini.«Milioni di euro spesi in forza pubblica di occupazione che non producono nulla, non costruiscono nulla e non servono certamente a superare una crisi economica che si profila durissima». Dal movimento contro l’alta velocità si leva un grido d’allarme: «Tutti devono sapere la farsa che si sta svolgendo oggi in valle di Susa. Tutti devono spare che questo è un furto di denaro pubblico e come tale va immediatamente fermato. Qui non si sta costruendo nulla, qui ci stanno rubando il futuro».