tratto da agoravox.it
Nel 1997, a Pastena, in Provincia di Frosinone, si autorizzava il risanamento di un terreno con materiale di riporto della costruenda linea ferroviaria TAV Roma-Napoli. Strada provinciale 151 Pastena–Castro, ad un passo dal torrente che affluisce all’interno delle Grotte di Pastena.
Da subito numerosi cittadini denunciano l’interramento di tutt’altra tipologia di rifiuto e non conseguente agli scavi per le gallerie o la realizzazione dell’alta velocità. Nella notte, si uniscono in coro i cittadini, un rumore di ruspe che scavano e di bidoni che rullano. In una interrogazione recentissima, Leoluca Orlando così parlava al ministro dell’ambiente: «si ricorda che in questi anni, i rapporti di processi, documenti e testimonianze, hanno descritto uno scenario spregiudicato, nel quale la criminalità organizzata approfittando di un clima di illegalità silente e diffusa, si era impadronita degli appalti della TAV e condizionava fortemente la gestione dei cantieri». Da quattordici anni vige un silenzio inquietante su questa storia. Eppure, come ricorda lo stesso Orlando al Governo, « non risulta essere mai stata fatta chiarezza rispetto alla presenza di rifiuti tossici, e sull’eventuale stato di inquinamento dei terreni interessati e delle falde sottostanti; laddove interpellata, l’arpa regionale, chiariva l’impossibilità di intervenire in terreni privati». Si sollecitavano interessamenti ed indagini ma mancavano le autorizzazioni a procedere. Segno che a qualcuno non andava si indagasse. L’impossibilità di intervenire in terreni privati, in quanto, il luogo dove i cittadini puntavano il dito, era, (è?) di proprietà dell’attuale leader del Pdl e consigliere regionale, l’on. Angelo D’Ovidio, al tempo delle segnalazioni, sindaco di Pastena. Di certo in quelle buche non si è seppellito soltanto del terreno proveniente dai cantieri della Tav; la terra, i sassi, le sterpaglie non si mettono dentro a dei bidoni! E quindi, cosa è stato seppellito a Pastena?
Nonostante il consiglio comunale di Pastena, nell’ottobre 2010, deliberava di procedere all’accertamento della presenza o meno di rifiuti tossici interrati, nessuna verifica è stata svolta. Pastena, 1.536 abitanti; negli anni una epidemia di cancro, leucemie e allergie inspiegabili se teniamo presente che non siamo di fronte ad un centro industrializzato, ma, parliamo di un piccolo comune agricolo, di campagna. Dove non ci sono fabbriche ad inquinare, dove di notte cala il silenzio tipico dei centri agricoli estranei al traffico cittadino ed ogni rumore strano, che stona con l’ambiente, lo riconosci subito. Un rullio di bidoni.
Riavvolgiamo il nastro: Lorenzo Necci, ex amministratore delegato di Ferrovie dello Stato travolto ed ucciso da un’auto mentre passeggiava in bicicletta a Savelletri di Fasano, era il 28 maggio del 2006. Lo scorso marzo una nuova puntata del processo per stabilire se Lorenzo Necci sia stato assassinato o sia morto per una tragica fatalità, bisogna anche fare chiarezza sulla borsa porta documenti sparita subito dopo l’incidente e riavuta, come spiegano i collaboratori e i familiari di Necci, semi-vuota. L’ex super ministro della Prima Repubblica, Cirino Pomicino, racconta di esser stato contattato da Necci. Si incontrano in un noto caffè di Roma, in via Veneto: Necci dalla sua borsa tira fuori un incartamento voluminoso e dice a Pomicino di aver avuto una informativa scottante dai servizi segreti stranieri, si dice preoccupato e cerca consiglio. Pomicino gli chiede di poterlo visionare, Necci gli dice che glielo avrebbe lasciato al suo ritorno: Necci muore. Subito dopo l’incidente il socio e amico di Necci, Giorgio Paolino, si precipita a Fasano ma, non va subito al capezzale dell’amico, passa prima all’albergo dove alloggiava Necci; mette in una borsa gli abiti dell’amico che serviranno a vestire la salma e la borsa personale di Necci con i documenti. Una breve visita all’ospedale e poi vola, con la borsa, a Frosinone dove vi resterà per 48 ore per poi tornare a far visita alla famiglia di Necci e consegnare la borsa ormai svuotata. Questo è quanto hanno ricostruito gli inquirenti. Paolino nega di aver preso incartamenti dalla borsa del defunto.
Paolino già in passato ha avuto noie per via della sua amicizia imprenditoriale con il banchiere della Banda della Magliana, Nicoletti e con il quale fondò alcune società. Necci è stato il padre della TAV; capo delle Ferrovie dello Stato, presidente e amministratore delegato ed è anche a capo delle società legate alla Tav. La sua vita la potremmo racchiudere in questa equazione: 42 processi, 42 assoluzioni. Il suo testamento: «Se muoio, le dico fin d’ora, non mi sono suicidato». Questa è una storia che turba il sonno di alcuni e fa tremare altri. Molti dei cantieri della TAV si sono chiusi lasciandosi dietro scie di polemiche, inchieste, misteri. Una storia iniziata oltre dieci anni fa e mai chiarita. Necci vuole una tratta super veloce, vuole stazioni all’avanguardia, vuole dare sviluppo e progresso alle ferrovie dello Stato e si sceglie i compagni di viaggio: Iri, Fiat, Eni. Queste le tre General Contractor scelte da Necci per dar vita all’Alta Velocità. Il gruppo Ferrovie dello Stato costituisce la TAV SpA: oggi controllata interamente da RFI SpA (altro gruppo delle FS). Necci nomina garante dell’Alta Velocità Romano Prodi, presidente dell’Iri (Ente dello Stato) e inventa il – comitato nodi – dell’Alta Velocità composto dalla senatrice Susanna Agnelli, dal prof Carlo Maria Querci, dal dott. Giuseppe De Rita e dall’architetto Renzo Piano; tra i compiti del comitato la valutazione di impatto ambientale. Iri e Fiat, dunque, chiamate sia a partecipare ai lavori sia a controllare se stessi. Ego me absolvo. Necci chiede soldi e il governo concede. Alle tre General Contractor andrà il 20% della somma stanziata dal ministero delle finanze per la TAV: queste tre senza fare nulla, incassano la somma e subappaltano ad altre imprese che ricevono un altro 20% senza fare nulla per poi subappaltare a loro volta a società riconducibili alla mafia, alla camorra e alla n’drangheta alle quali andrà un altro 20%.
Soltanto un 10% della somma iniziale verrà usata per svolgere i lavori da parte di piccole ditte di padroncini: a discapito della qualità del lavoro, della sicurezza degli operai e dell’ambiente: con una misera cifra svolgere un tale e imponente lavoro tenendo fede a leggi e regolamenti è impossibile, figuriamoci smaltire legalmente i rifiuti. Doveva costare 29mila miliardi, è costata oltre 140mila. Questi dati li snocciola il magistrato Imposimato nel 2007 durante la presentazione del libro – Corruzione ad alta Velocità – scritto assieme a Sandro Provvisionato, caporedattore del Tg5 . L’ex magistrato racconta l’inizio dei lavori sulla tratta Roma – Napoli e delle bombe fatte esplodere in prossimità dei cantieri. Incuriosito dalle esplosioni decise di commissionare alla Polizia, alla Criminalpol e alla Guardia di Finanza una indagine sulle ditte che partecipavano alla TAV. Dopo due anni di indagini gli inquirenti confezionano un rapporto ben dettagliato, con nomi e cognomi. I sospetti di Imposimato trovano conferma: mafia, camorra e ‘ndrangheta operano in sinergia con lo Stato italiano. Lo scoprono anche Falcone e Borsellino che dietro alla TAV operano Riina e Provenzano, i casalesi e altri clan della criminalità organizzata. Il magistrato porta queste relazioni in commissione antimafia e infine da Prodi: non se ne farà mai nulla. Troppi nomi, gruppi di importanti industriali, troppi segreti da difendere nel nome e per conto dei padroni di Italia. E adesso che la tratta Roma – Napoli è finita, cosa troviamo?
Come sarebbero andate le cose se l’autorizzazione alla discarica del materiale dei cantieri TAV non fosse stata concessa da un sindaco poi diventato potente consigliere della Regione Lazio? Chi ha chiesto all’allora sindaco il permesso di scavare buche nella sua terra? Il silenzio dei media: «Non avevo dubbi: nel grande guazzabuglio sull’Alta velocità figurano i nomi di Romiti, Agnelli e De Benedetti, ovvero: Corriere, Stampa e Repubblica». A sconcertare Imposimato, soprattutto il fatto che nella realizzazione dei lavori furono inserite due imprese: l’Icla, coinvolta nello scandalo della ricostruzione dell’Irpinia, in seguito fallita e con i titolari finiti in manette e la Condotte, il cui presidente fu arrestato per legami con il clan degli Alfieri. Ettore Incalza, amministratore delegato della Tav finito poi sotto inchiesta: «L’Iri, ha dato una performance di garanzia piena sull’Icla…». Chi?. «Il professor Romano Prodi, col quale ho firmato l’atto integrativo». Quanto alla Condotte, «faceva parte del gruppo, perché la maggioranza era dell’Iri». Entrambe le società erano dell’Iri, ente dello Stato. Ma prima dell’Iri, Romano Prodi di Nomisma, ricevette dall’IRI, una consulenza multimiliardaria per individuare i soggetti migliori per gli appalti della TAV. Ci provarono a portare Prodi in giudizio, senza riuscirci e su tutta la faccenda calò il silenzio che questo articolo e il coraggio dei cittadini di Pastena stanno cercando di squarciare. Possibile attendere tutti questi anni e riscontrare tanti problemi per procedere al controllo di un campo agricolo? Un controllo, uno stupido controllo per verificare o meno la presenza di rifiuti tossici