E’ sabato mattina e mi preparo per la vendemmia, tra le cose che non devo dimenticare di prendere c’è la carta d’identità perché la mia vigna si trova al Peuy, nei pressi della Maddalena di Chiomonte, e per raggiungerla devo passare oltre il cancello della Centrale. Eccomi arrivare al checkpoint, dove un discreto numero di uomini delle forze dell’ordine si prodigano a verificare l’identità di coloro che transitano annotandone i nominativi su appositi registri con ora di entrata e numero di targa dei mezzi, la maggior parte sono motocarri carichi di bigonce vuote con alla guida persone di una certa età frastornate dal dover ottemperare a tutte queste formalità per poter accedere ai propri appezzamenti.
E’ in quel momento che la mia mente vaga a molti decenni fa. Mi rivedo bambina percorrere in piena libertà le mulattiere che portavano alle vigne in compagnia di mio nonno che, fiero, mi tramandava l’orgoglio di possedere vigne che gli consentivano di produrre un ottimo vino. Quanta festa rappresentava il momento della vendemmia che, dopo un duro lavoro di mesi, su e giù per i terrazzamenti, univa alla fatica della raccolta e del trasporto dell’uva verso casa tanta gioia che contagiava tutta le gente: le vigne erano un pullulare di donne, uomini, bambini, le cui voci si univano fino a formare un unico coro festante.
Nel 1865 un poeta chiomontino con “La vandeimo” scriveva: Nungun saurie pas vous exprima a le pleisii que la s’ preuve a vendeimaa… quand la riante aurore ben peu lous avertii que le jour ei arriva que la vante partii… parton le soureil ei jo a la roche de l’Armaa prené votre corbelle et annin vandeimaa qui di attendme au pont et qui di au pieron la venteirie peu vei quelle belle procession oman fenne eifan mendie da mariaa tout sen vai… (Nessuno saprebbe esprimere la gioia che si prova a vendemmiare… quando la ridente aurora ci avvisa che il giorno è arrivato e che bisogna partire… andiamo, il sole è già arrivato alle rocce della Ramats, prendete le vostre ceste e andiamo a vendemmiare: chi dice aspettami al ponte e chi dice al pilone, bisognerebbe poi vedere che bella processione di uomini, donne, bambini, ragazze da marito, tutti vanno…).
La vigna è ormai vendemmiata, tutt’intorno non c’è aria di festa, tra le persone anziane c’è forte sgomento per la vigilanza a cui sono sottoposte. Torno a casa con in mano la carta d’identità che gli stessi uomini del mattino provvedono a controllare e a segnare sul registro l’uscita dal cancello, dove motocarri con le bigonce piene di uva, in fila, aspettano di poter tornare a casa. Vorrei ancora tornare bambina e poter scrivere come fece Ernesto Odiard des Ambrois alla fine dell’Ottocento con la poesia “Si n poughessan rnéisse”…e d’ton s’en ton un vèire d’vin d’ Chaumoun,…ésse sou mèitre jou per jou, peinâ sur sa tére, ou grand’èr… (“Se potessi rinascere” …e di tanto in tanto un bicchiere di vino di Chiomonte… essere padroni di sé stessi, giorno dopo giorno, faticare sulla propria terra, all’aria aperta…)
Potrò ancora essere una chiomontina orgogliosa di possedere un pezzo di terra su cui muovermi libera e di tanto in tanto bere un bicchiere di vino di Chiomonte?
Marina Sibille – Chiomonte, 26 settembre 2011