Tratto da il manifesto del 31/07/2011 – Sale la tensione in Valle di Susa, prodotta ad arte da giornalisti e politicanti irresponsabili. Ma contemporaneamente si stringono le maglie della rete, reale e virtuale, che collega in Italia il movimento per i beni comuni. Comincia a diffondersi un’informazione autentica, fatta di collegamenti diretti, che ha determinato la vittoria nella campagna referendaria e che rende del tutto velleitario il tentativo di isolare Chiomonte come un episodio sui generis. Chiomonte non è diverso da quel risorgimento politico italiano, iniziato in primavera, che innalzando il vessillo dei beni comuni è destinato a cambiare molto presto lo scenario politico nazionale (che certo non cambierà se ci limiteremo a mandare a casa Berlusconi).
Difficile non vedere come il tentativo di ridurre la vicenda valsusina ad un problema di ordine pubblico sia la risposta violenta ma impotente alla prodigiosa crescita del movimento per i beni comuni. E’ sufficiente de-provincializzare la percezione del movimento No Tav, non dico andando a Barcellona o a Berlino, ma anche solo smettendo di leggere le pagine avvelenate della cronaca cittadina torinese, per vedere come il movimento No Tav sia già oggi parte a pienissimo titolo della battaglia per la liberazione del nostro paese da una classe dirigente (certo non solo un ceto politico) corrotta ed incapace.
A Napoli, nel presentare la struttura del primo Assessorato Italiano ai Beni Comuni, fondato sul raccordo fra momenti assembleari aperti a tutti e consulte tematiche autogestite, collocate in comunicazione biunivoca necessaria con tutti gli assessorati della giunta De Magistris, la battaglia No Tav è stata abbondantemente discussa (si veda Il Mattino di giovedì 28 luglio). Il suo esempio era offerto in negativo proprio per motivare la scelta coraggiosa di aprire le stanze del potere locale al dialogo autentico con le popolazioni. La gestione violenta dall’ alto di beni comuni costituzionalmente protetti come paesaggio e territorio, che a Torino viene sostenuta in modo bipartisan è quanto vogliamo ripudiare attraverso istituzioni pubbliche innovative e partecipate quali appunto un Assessorato ai beni Comuni.
Allo stesso modo a Roma nell’ ambito dell’ esperienza costituente e generativa di un nuovo modo partecipato di interpretare la cultura, portata avanti ormai da quasi due mesi nel Teatro Valle occupato bene comune, si vede la violenza repressiva della Valle di Susa, la si teme e naturalmente ci si collega con il movimento No Tav. Analizzando la situazione è forse ragionevole rassicurare le occupanti e gli occupanti del Valle. Ben più difficile è mentire su di loro presentandoli come facinorosi e black block visto che sono nel cuore di Roma ed il loro stile delicato ed elegantissimo è sotto gli occhi di tutti. Ben minore è il gretto interesse economico (almeno immediato e perciò apparente ai miopi saccheggiatori) coinvolto nella vertenza per la cultura bene comune di quanto non lo sia per il territorio. Certo, a Roma il Comune è in mano neo-fascista. Chi ancora crede che «non sono tutti uguali» ha perciò maggior ragione di temere. Ma chi vede l’azione di militarizzazione in Valle di Susa e legge le dichiarazioni di certi deputati del centro-sinistra, fa sempre più fatica a distinguere.
La verità è che sui beni comuni il discrimine non può correre sulla vecchia opposizione, cara alla modernità, fra destra e sinistra, che ancora colonizza il nostro modo di pensare, nonostante la convergenza al centro prodotta dal ventennio del pensiero unico di cui l’ atteggiamento del Pd in Valle di Susa è ancora figlio (e purtroppo non solo rispetto ai No Tav: basta riflettere sulla totale incapacità di interpretare i referendum su cui pure, in ultimo ci si era buttati). La battaglia per il territorio bene comune (la locuzione No Tav ne connota solo l’ aspetto negativo), è intimamente legata a quella referendaria per l’acqua, il trasporto e la gestione pubblica dei rifiuti, e per la riproduzione energetica (anche qui «no nukes» connota in negativo); a quella per la cultura bene comune condotta al Valle; a quella per Napoli bene comune interpretata con il nuovo assessorato; a quella per il lavoro bene comune da riconquistare innanzitutto per una generazione oggi condannata all’assenza di futuro da una precarietà che va cancellata. Battaglia condotta dalla Fiom-Cgil e che richiede una piena assunzione di democrazia tra i lavoratori e le lavoratrici che vada oltre agli accordi emergenziali o i governissimi che rischiano di disarmare quella necessita di Alternativa Comune produttrice di nuova egemonia proprio perché capace di superare i vecchi schemi. Il referendum ha dimostrato che la difesa di beni comuni può coinvolgere ogni persona di buon senso. Per questo il potere, minacciato dal nostro grande progetto politico globale di ripensamento del modello di sviluppo attraverso un nuovo rapporto fra pubblico e privato, risponde anche con violenza e diffamazione.
La difesa dei beni comuni non è una battaglia solo italiana come ben ha compreso il comune di Napoli facendosi promotore di un’iniziativa popolare europea per una Carta dei beni comuni capace di ottenere in Europa quel riconoscimento che la miopia politica bipartisan ha fin ora negato in Italia alla riforma della Commissione Rodotà. Le battaglie per i beni comuni alla fine si vinceranno soltanto se la grande rete che oggi stiamo tessendo in Italia avvolgerà l’ intero pianeta stritolando finalmente il neoliberismo. Per questo anche Chiomonte deve andare in Europa, come già stanno facendo, in modo lungimirante, tanto Napoli quanto il Valle. Riflettiamo sull’ opportunità di una grande manifestazione No Tav in autunno (anzi, per il territorio bene comune) a Bruxelles per dire che vogliamo usare i nostri soldi in un altro modo, che dalla crisi globale si può uscire con più partecipazione, con più diritti e libertà contro ogni emergenza.