Da Libree Idee – Uno spintone alla crisi: «Ormai le recinzioni ci hanno stufato: così, quando abbiamo visto quelle transenne, le abbiamo superate di slancio». Torino, 6 settembre 2011: il giorno in cui i No-Tav, respinti dalla Cgil, si presero il palco senza troppi complimenti, dopo qualche spallata in piazza San Carlo, prima col servizio d’ordine del sindacato e poi con gli agenti antisommossa. Lieto fine: «Sappiate che gran parte del sindacato è con voi», dice al microfono un esponente torinese della Cgil, tra le bandiere No-Tav e la bancarella con i “prodotti tipici della val Susa”, una cesta ricolma di lacrimogeni. «Non si può contestare la manovra di Tremonti e poi approvare la Tav: non è una questione valsusina, ma un banco di prova per l’Italia». Ovazione popolare per la valle ribelle, tributata da migliaia di torinesi in piazza.
«Ogni giorno facciamo marce di avvicinamento al “fortino” della Maddalena», arringa Nicoletta Dosio, «per ricordare che quell’opera che vorrebbero avviare è folle, completamente inutile, devastante per il nostro territorio ma soprattutto per le finanze italiane: decine di miliardi di euro buttati, quando si tagliano i servizi essenziali, manca il lavoro e il governo pensa di aumentare l’Iva per far pagare la crisi a tutti tranne che ai ricchi». La novità non è la tesi politica dei No-Tav valsusini, che da vent’anni animano una resistenza territoriale sfiancante ma così tenace da stupire chi pensava che, alla lunga, l’opposizione popolare si sarebbe stancata. La novità del 6 settembre, giorno dello sciopero generale voluto dalla Cgil contro la manovra “lacrime e sangue”, è il grande successo ottenuto nel cuore di Torino dai primi “indignados” italiani, battistrada di una possibile protesta nazionale.
Tra marce, cortei, fiaccolate e l’“assedio” al sito militarizzato di Chiomonte, i No-Tav sono riusciti a violare l’embargo mediatico che li aveva a lungo isolati, e hanno provato a spiegare che la battaglia contro l’inutile ecomostro Torino-Lione – grande opera misteriosa, il cui presunto valore strategico non viene mai rivelato, cifre alla mano – non è solo una pagina locale, ma soprattutto un avamposto della resa dei conti che ormai attende l’Italia intera di fronte alla gestione della crisi. «Perché pagare solo noi, tutto noi? Oggi la valle di Susa, domani il resto d’Italia». E alla fine, “domani” è arrivato: mentre l’Italia – anche grazie alla mobilitazione della Cgil – si prepara a resistere al “massacro sociale” che l’Europa ha di fatto imposto al governo, le piazze gremite di bandiere scoprono che le sentinelle della valle di Susa hanno ragione: perché imporre maxi-spese “manu militari”, quando il futuro è scomparso dai radar e sembra ormai in forse lo standard minimo della vita quotidiana?
La novità è questa: l’Italia che sprofonda nella crisi scopre la battaglia popolare contro la Torino-Lione, simbolo di uno sviluppo obsoleto, perdente e fallito: «E’ una truffa ai danni dell’Europa, un colossale raggiro per aprire cantieri inutili e spartirsi una torta gigantesca, alle spalle di tutti». In attesa che finalmente pervengano dati precisi, finora inesistenti o comunque mai presentati, sul rapporto costi-benefici dell’opera pubblica più impegnativa della storia italiana, gli applausi dei torinesi per i No-Tav che il 6 settembre hanno “rubato la scena” ai sindacalisti della Cgil parlano da soli: rivelano un bisogno sempre più forte di ritrovare una vera sovranità democratica, che restituisca ai cittadini la sensazione di poter esercitare appieno i diritti civili sanciti dalla Costituzione, anziché naufragare nel panico e nella rabbia, di fronte alla crisi peggiore di sempre, gestita da politici e partiti il cui prestigio è ormai in caduta libera.