“Spammate, spammate le gru vanno scalate”. Il racconto in prima persona di come e perchè un gruppo manifestante No Grat No Tav e No Ticket ha occupato la gru del cantiere del più alto grattacielo di Torino della più grande banca italiana. di Paolo Hutter
Introdursi nel cantiere più importante e delicato di Torino, quello del grattacielo Intesa San Paolo, in un piccolo gruppo misto eterogeneo e un po’ improvvisato e occupare la gru più alta non è cosa facilissima.
Soprattutto se non ci si arriva come emanazione di un corteo più ampio. La cosa più difficile, comunque, è stata quella di restare tante ore sulla gru, incalzati da polizia vigili del fuoco e responsabili del cantiere che volevano, minacciavano, imploravano di farci scendere il prima possibile ma sapevano di non poter salire a tirarci giù fisicamente.
L’idea di occupare la gru era circolata nell’ala più militante del nostro compassato e timido Comitato Non Grattiamo Il Cielo di Torino, era un’idea che emulava proteste di gru e tetti di operai, immigrati, precari e studenti ma in questo caso con un taglio più ideologico che sociale. Salire in alto, mettersi a repentaglio, rendersi visibili non per reclamare i propri diritti sociali ma per difendere il paesaggio e una concezione da“beni comuni” della urbanistica. L’idea giaceva in un cassetto, ed è tornata attuale dopo l’osservazione casuale – dagli adiacenti uffici della Provincia – di come è fatto il cantiere, e soprattutto dopo che la recente acutizzazione del conflitto No Tav ha un po’ risvegliato il movimentismo torinese.
Alla vigilia dell’entrata in vigore della manovra economica, è sembrato ad alcuni di noi che la battaglia contro il grattacielo – difficile e dimenticata dopo che il cantiere è iniziato – potesse validamente legarsi al tema No Tav, ed entrambi al No Ticket.
Ma praticamente, preparare la occupazione di questa super-gru è stato al tempo stesso faticoso e divertente. Avete presente un film che racconta come si mette insieme un gruppo e un piano per una rapina? Avete presente quello che ti dice che l’idea lo entusiasma ma non sa come funzionerà il suo ginocchio tra due giorni, o come starà la mamma, o che dirà la moglie, o qualunque altra variabile?
Senza contare quelli che eran andati bellamente a sfidare i lacrimogeni a Chiomonte ma in questo fine settimana dovevano proprio andare al mare oppure non erano convinti di qualcosa.
Avessimo potuto spargere la voce tra centinaia di persone, forse ne avremmo raccolte almeno una trentina.
Ma non era prudente. E da certi telefoni parlavamo in codice, come se davvero ci intercettassero in tempo reale per motivi di ordine pubblico. Con un paio di avvocati avevamo capito che il nostro eventuale problema legale si chiama articolo 633 del codice penale. Limitato però a eventuale querela di parte se il gruppo che invade la proprietà privata è composto da meno di dieci persone. Non bisognava però sovraccaricare il modesto rischio della querela penale con il rischio civile, economico, dei danni dovuti alla interruzione dei lavori.
Con alcuni sopraluoghi avevamo capito che il cantiere lavora il sabato fino all’ora di pranzo. Quindi abbiamo deciso l’azione per le 14. I due più tecnici di noi si eran procurati quattro leggerissime scalette di alluminio portatili, per scavalcare il recinto di due metri. Avevamo già da tempo uno striscione verticale NON GRATTIAMO IL CIELO DI TORINO, esposto un giorno (ovvero 10 minuti) dalla Mole. Dalla terrazza della Mole lo fanno subito tirar via. In questo caso sulla gru – ovvero sulla scala della gru – saremmo stati padroni del campo. Negli ultimi giorni le riunioni son state piccole ma quotidiane. A una ditta amica abbiamo ordinato due striscioni verticali – No Tav e No Grattacielo – e uno orizzontale – No ticket- stampati su materiale molto leggero per portarli su facilmente negli zaini sulla ripida scala a pioli della gru.
Ai partecipanti – agli aspiranti o aspirati tali – si chiedeva di portare acqua, kway per il fresco e possibile pioggia, qualche cibo, e cellulari ben carichi. Eravamo una quindicina, di cui metà decisa a salire, gli altri a collaborare all’avvio della invasione alle 14 di sabato. Tutto pronto ma imprevedibilmente ci sono tre gruisti operativi sulla gru, che avrebbe dovuto esser libera e vuota già da un’ora. Riunione un po’ concitata, c’è anche chi si offende perché non lo avevamo previsto, e se ne va. C’è chi sospetta che abbian deciso di lavorare il sabato pomeriggio proprio perché ci aspettavano. Ma non c’è polizia.
Decidiamo di ritrovarci alle 18. Due dei “salitori” non si presentano, uno per improvviso piccolo incidente del figlio bambino. Per fortuna si decide invece a salire anche uno studente non previsto. I gruisti continuano a manovrare ancora un po’ dopo le 18 poi finalmente li vediamo scendere e dopo qualche minuto ci facciamo sotto. Qualcuno poggia le scalette. Io salgo e scendo quei due metri goffo e un po’ affannato. Avevo immaginato (decine di volte, ormai,lo avevo immaginato) di correre poi verso la scala della gru mentre qualcuno mi avrebbe gridato Che fate Fermatevi. Invece non succede. Inizio a salire la più lunga scala a pioli mai salita in vita mia. Ci sono rampe, e piccoli pianerottoli, e non si pencola nel cielo ma in mezzo a sbarre dritte o curve a mò di cerchio protettivo. La spinta e l’entusiasmo di salire sono più forti della inquietudine a guardarsi in giù.
L’orizzonte si allarga e giù a terra è ancora tutto quieto. Persino dopo che viene calato il primo striscione nessuno nel cantiere si è ancora accorto di noi. Tanto che – previo un breve colloquio telefonico con uno di noi già all’altezza del (futuro) decimo piano – un altro studente si aggiunge. Tenero e fantastico, scavalca da solo senza scaletta portatile e ci raggiunge in alto. Intanto ho cominciato ad avvisare i giornali, ma solo dal Tg 3 della Rai c’è risposta e viene mandata una troupe. Il caporedattore di turno della Stampa mi dice che siamo i soliti quattro gatti che dicono la solita cosa. Sotto, in corso Inghilterra, è rimasto un gruppetto dei nostri. Quando finalmente viene dato l’allarme, arrivano volanti della polizia e alcuni di loro vengono identificati. Poi arrivano a sirene spiegate i pompieri. I cancelli del cantiere vengono aperti, e da un’auto della polizia ci parlano con un megafono: è pericoloso, dovete scendere, questa è un’intimazione.
Telefono al dirigente Ferrara della Digos per informarlo di chi siamo e delle nostre pacifiche intenzioni solo dimostrative. Otteniamo un po’ di pace, per goderci l’imbrunire e lo sbucare della luna piena. Così: quasi sospesi nel vuoto, stretti nelle piccole piattaforme tra le rampe della scala a pioli. E’ più emozionante che da quello che sarà un ufficio alto blindato dai vetri. Riunione a 55 metri dal suolo, confermiamo di voler continuare l’occupazione della gru almeno fino alla fine del mattino di domenica, ora per la quale convochiamo un incontro-conferenza. Digos, pompieri e soprattutto responsabili del cantiere ci rimangono malissimo, speravano scendessimo a fine serata. A quel punto cominciano una serie di pressioni – attraverso telefonate della Digos e missioni di uno-due pompieri che salgono fin da noi a parlare – con argomenti che si accavallano. E talvolta si contraddicono, come quando la polizia dice che se qualcuno di noi si fa male il cantiere potrebbe esser chiuso per accertamenti e che se non scendete potrebbero ordinarci di salir su a prendervi a forza. Dal punto di vista tecnico apprendiamo cose che all’inizio ci sembrano incredibili ma che nelle varie puntate successive coi pompieri si rivelano non del tutto infondate.
La presenza di non addetti (cioè noi) su una gru come quella – la più alta gru con braccio mobile operante in Italia – viene considerata così pericolosa da mobilitare più di venti pompieri. La metà della forza di turno in quel momento in città, per cui rischiamo di mandare in crisi altre situazioni. Sempre a causa della nostra presenza alla gru è stata tolta l’elettricità – anche se abbiam giurato di non salire nella cabina dei comandi. Di conseguenza non è attiva la luce di sicurezza in alto, obbligatoria per sicurezza del traffico aereo e di elicotteri. Fino a questo punto comunque non ci smuoviamo. Neanche quando il passaggio delle pizze comprate da nostri sostenitori, passaggio preso in considerazione dai pompieri, viene stoppato dalla Digos. Prima motivazione: se non ci bloccano i viveri finisce che non scendiamo più. Più tardi un pompiere dirà invece che non si possono prendere la responsabilità che “il cibo sia abbastanza salubre” per la nostra delicata posizione lassù.
Ore una: tre dei nostri ragazzi – i tre ventenni – vogliono scendere. Si sentono solidali, promettono addirittura di tentare di risalire alla chetichella in mattinata, ma è meglio che passino da casa. Mentre controlliamo dall’alto che vengano solo identificati e non trattenuti l’ennesima salita del pompiere porta la novità a cui inizialmente non crediamo. Operai specializzati devono salire sulla gru per metterla in sicurezza tra poche ore, la mattina di domenica. Sono gli stessi che han lavorato il sabato pomeriggio! Se non scendiamo non salgono e ci possono dare la responsabilità di aver fermato il cantiere. Mi sfogo al telefono col consigliere comunale Michele Curto che si è tenuto informato da quando è iniziata l’azione: possibile che non ci lascino concludere la manifestazione alle 12? Michele parla con la Digos, decide di venire e dopo vari dialoghi a distanza si capisce che la faccenda della messa insicurezza straordinaria domenicale è vera. Non sono stati capaci di spiegarcela subito, non se la sono inventata. Il pompiere ipotizza che ci possano lasciare gli striscioni appesi. Mi invitano a scendere per parlamentare direttamente. Tra responsabili della sicurezza dell’impresa e della banca, Digos, pompieri e consigliere comunale un bello squadrone mi attende: alle due di notte. Com’è delicata una gru, soprattutto del più alto grattacielo della più grande banca. Prende corpo una mediazione eccezionale. Noi scendiamo quasi all’alba per lasciare libera la gru ai manutentori. Loro ci lasciano stare nel cantiere per accogliere dalla base della gru i nostri sostenitori alle 11 e ci lasciano stare appesi gli striscioni fino alla fine degli interventi. Quando questo avviene, alcune ore più tardi, saranno addirittura due guardie del cantiere a portarci il megafono prestato da Paolo Vinci di 5 stelle.
Attorno alle 12 una piccola folla – tra cui finalmente cronista e fotografo della Stampa – ci accoglie. Almeno per i presenti il legame tra i tre temi No Ticket No Tav No grattacielo è chiaro e sensato.
La Digos cataloga ma ci restituisce gli striscioni. Che sarà della identificazione di noi scalatori? La Banca ha già detto che non ci querela (per stavolta..) l’impresa edile probabilmente neanche.
Qualche ora dopo l’impresa della gru sento i muscoli un po’ provati e riguardo le foto dall’alto e dal basso. Difficilmente impediremo lo stravolgimento del paesaggio di Torino. La sproporzione di mezzi e risorse è plateale. Ma questo corpo a corpo, questo presidio del cielo, sono pratiche di intervento sulla città. Oltre che prove di lotta tanto pacifica e testimoniale quanto radicale.