[Da Libre]Una baita di pietre, nel cuore del bosco di castagni incendiato dai colori dell’autunno. «Sarà il nostro caposaldo civile: da qui resisteremo». Sembra un rifugio alpino. Lo stanno costruendo i volontari No-Tav accanto al sito neolitico della Maddalena di Chiomonte, sopra Susa, all’imbocco del futuro euro-tunnel della Torino-Lione. Seimila anni fa, in piena Età del Ferro, proprio in quei boschi una piccola comunità preistorica elaborò metodi di sussistenza oggi testimoniati dal piccolo museo: utensili per la vita quotidiana, alle pendici delle Alpi. Migliaia di anni dopo, un’altra comunità si organizza per opporre all’apocalisse delle Grandi Opere il suo modello civile: «Vogliamo continuare a poter vivere qui, in modo semplice, grazie ai frutti della terra dei nostri antenati».
A due passi, sotto un cielo solcato dagli spettacolari viadotti dell’autostrada del Fréjus, si estendono i vigneti dell’Avanà, il vino alpino strappato alle rocce, con filari adagiati su ripide terrazze. «Non devastate la valle di Susa e i suoi vigneti», avvertì mesi fa una star internazionale come Gérard Dépardieu. L’azienda agrituristica Martina oggi produce un ottimo rosso. Il titolare, pur essendo ferroviere, è contrario all’alta velocità: perché la Torino-Lione è uno scempio inutile, come dicono i No-Tav, sicuri che i cantieri dell’euro-tunnel trasformerebbero in un inferno la valle dei vigneti alpini. Tuttavia, c’è un problema: i promotori della Torino-Lione non mollano. Nonostante le proteste della popolazione, ad agosto hanno presentato un progetto preliminare che ha terrorizzato i 27 Comuni lungo il tracciato: «Vogliono trasformare la valle di Susa nella Salerno-Reggio Calabria del Nord», protesta Domenico Usseglio, sindaco di Chiusa San Michele.
«Dicono che la Torino-Lione costerà almeno 20 miliardi, ma non sanno dimostrarne l’utilità», denuncia Guido Fissore, consigliere comunale di Villarfocchiardo, anche lui all’opera coi volontari di Chiomonte per costruire la “baita della resistenza”. «Eppure – continua Fissore – la motivazione della Tav è evidente: 20 miliardi sono un fiume di denaro. Se fossero suddivisi in opere minori, e più utili, sarebbe molto più difficile usarli per finanziare la politica: questo spiega la granitica unanimità che, dal centrodestra al centrosinistra, protegge il progetto della Torino-Lione, una linea che vogliono costruire a qualsiasi costo e contro ogni evidenza, senza saper dimostrare in nessun modo la sua reale utilità».
Mario Solara, di Bussoleno, è uno dei giovani al lavoro nel piccolo cantiere della baita nel bosco, a due passi dalla Dora Riaparia: il fiume è ridotto a un rigagnolo, per via delle imponenti captazioni dell’Aem per rifornire Torino di energia idroelettrica. «Con la Tav sarà ancora peggio», annuncia Solara: «Per ammissione degli stessi tecnici Ltf, responsabili del progetto preliminare, la valle di Susa – che è in mezzo alle Alpi e ha enormi riserve di neve – potrebbe finire senz’acqua: nella Dora Riparia c’è il rischio che restino solo gli scarichi fognari, perché il tunnel sotto il massiccio dell’Ambin fra Italia e Francia potrebbe tagliare le falde e prosciugare anche le sorgenti in quota. E’ come togliere il tappo a una vasca da bagno».
Coi sindaci e i No-Tav è scesa in campo anche la Coldiretti: i cantieri della Torino-Lione devasterebbero l’intero fondovalle sottraendo ettari di pascolo e mandando in rovina decine di allevatori. Risibile la contropartita occupazionale: 4-500 posti di lavoro nella cantieristica provvisoria, e poi l’eredità definitiva di un deserto invivibile. «Ma il peggio – aggiunge Solara – è che si continua a non spiegare l’utilità della Torino-Lione: l’attuale linea internazionale che attraversa la valle, la Torino-Modane, è utilizzata solo al 30%. Basterebbe poco per adeguarla a supportare più traffico. Peccato che ormai le merci che arrivano in Europa approdano a Genova e si dirigono a nord: la direttrice Italia-Francia ormai è un binario morto. Lo sanno tutti, ma non lo ammettono. Sembra che il loro vero obiettivo sia semplicemente quello di aprire i cantieri e accedere ai finanziamenti, anche a costo di scaricare sulle spalle degli italiani un debito di centinaia di milioni di euro l’anno».
L’Italia sta cadendo a pezzi, il governo vacilla, Confindustria e sindacati denunciano lo sbando generale mentre il mondo è in preda alla crisi più grave della storia secolare del capitalismo, ma la Torino-Lione non arretra. Se i No-Tav hanno mobilitato esperti europei per contestare, cifre alla mano, la maggiore opera pubblica della storia italiana, centrodestra e centrosinistra continuano come se niente fosse, oscurano la protesta della valle di Susa e non svelano il vero rapporto costi-benefici dell’alta velocità Italia-Francia. Per questo il movimento civile che si oppone ai cantieri sta preparandosi all’ennesima, decisiva battaglia: il “presidio” di Chiomonte come quello di Venaus, che nel 2005 fermò a furor di popolo il primo progetto Torino-Lione.
Il nuovo “caposaldo” si innalza giorno per giorno tra i castagneti della Maddalena, cresciuti sulla terra degli antenati del neolitico. «Da qui resisteremo a qualsiasi pressione», annuncia Francesco Richetto, compresa quella del Comune di Chiomonte (uno dei pochissimi non contrari alla Tav) che ora accusa i manifestanti di abusivismo edilizio. «Io sono già indagata», spiega l’anziana valligiana responsabile legale dell’insediamento: «E’ assurdo, no? Si contesta la nostra baita di pietre, mentre l’area potrebbe essere sconvolta dalla devastazione dei cantieri».
Alberto Perino, portavoce dei No-Tav, non si fa illusioni: «Potremo essere anche in centomila», ha detto durante l’ultima manifestazione che a Sant’Ambrogio ha raccolto 50.000 dimostranti, «ma se partiranno i cantieri dovremo opporci fisicamente». La data è vicina: i cantieri del “tunnel geognostico” di Chiomonte potrebbero aprirsi tra dicembre e gennaio. «Noi siamo pronti, li aspettiamo qui», dicono i No-Tav, ancora una volta sulle barricate: la “baita” della Maddalena, eretta su un terreno offerto da un militante, sarà un ostacolo in più per rallentare l’avanzata dell’ecomostro. Sperando che nel frattempo l’Italia e l’Europa di sveglino, e non lascino sola, ancora una volta, la valle di Susa (info: www.notav.info).