Alla fine sembrava di parlare dei parenti. Quelli un po’ scomodi che arrivano senza essere invitati. “Arrivano?” “si arrivano” “speriamo che vengano stasera” “arrivano o non arrivano”. Il tam tam era partito venerdì, proseguito sabato tutto il giorno: “Verranno fra domenica e lunedì mattina”. E’ sicuro. Le voci si rincorrono. Da Torino imprenditori chiedono che si apra questo benedetto cantiere della Tav, si apra “a qualunque costo” anche a costo di usare la forza, lo chiedono a Maroni.
Ma gli artigiani a nome del loro presidente non ci stanno. “Noi non vogliamo essere i mandanti di nessuno: vogliamo la Tav usando il buonsenso e le parole, non la violenza”. Grande dibattito in corso sulla nostra pelle. Farfalle nello stomaco: “ci tocca”. Il posto è davvero impervio, è pericoloso anche solo correre di notte, la consapevolezza: “qualcuno si farà male”. Intanto il quartiere generale di Asterix ogni giorno si arricchisce, cucina da campo, rigorosamente con raccolta differenziata. Continua ad arrivare gente da tutta Italia, molti giovani, studenti, musicisti. Da Udine, da Roma, da Pistoia, da Milano. A tutti si fanno le stesse raccomandazioni: la linea, la strategia viene decisa ogni sera all’assemblea, regole alle quali bisogna attenersi. Massimo rispetto per l’ambiente attorno, niente scritte sui muri a secco che circondano le vigne. Qualcuno non aveva capito e allora si provvede subito a cancellarle. (Qui non siamo mica a Torino). Si sfornano comunicati, uno ricorda proprio la storia della viticoltura, introdotta in Piemonte dagli Etruschi e poi diffusa dai Romani e praticata con grande fatica sui ripidi versanti delle montagne di Susa, da Gravere a Giaglione a Chiomonte a Exilles. Nell’attesa (arrivano non arrivano) c’è il tempo di fare una lezione di storia. I vini di queste terre come l’Avanà e il Becquet nel Seicento erano sulla tavola del Delfino di Francia. Terrazzamenti recuperati negli ultimi quindici anni, sistemati pietra su pietra, piantato nuovi pali tutori, messo a dimora nuove vigne su un terreno che per pendenza fa concorrenza alle Cinque Terre.
Per arrivare alla Maddalena ci si immerge in questa storia. (Chi arriva deve capire). C’è perfino l’idea di pagare la tassa del plateatico al Comune per l’occupazione del suolo pubblico. Si vuole agire in modo “regolare” normale anche se di normale più passa il tempo (gli anni), e più appare evidente che c’è poco. Tende ovunque, domenica molti bambini, qualcuno fa i compiti perché si avvicinano gli esami. Un gruppo organizza una veglia di preghiera accanto “al pilone votivo” costruito apposto, arriva anche un sacerdote. I medici valsusini hanno firmano un nuovo documento denunciando preoccupazione per i cantieri. Sul calare della sera la tensione è mascherata ma tangibile. Il kit del movimento ora si è munito anche di un caschetto bianco con la scritta notav. Sulle nuove magliette c’è scritto: “La paura qui non è di casa”. (Arrivano non arrivano?) Togliamoci sto dente, non si può continuare ad essere appesi, nel quotidiano, a questa storia. E’ mezzanotte. Le barricate sono di nuovo al loro posto (di giorno vengono tolte), barricate incredibili, anche difficili da superare per chi sta arrivando. I notav valsusini hanno pratica di montagna, basta vedere come sono vestiti. Donne e uomini di tutte le età si arrampicano e superano le barricate come un gioco. La notte è calda. Da Chiomonte una lunghissima fila di auto, stessa cosa dall’altro versante. Tutti alla ricerca di un posteggio, un silenzio irreale. Sembra di essere a fine luglio quando scappa la voglia di salire al Rocciamelone e ci si trova in coda. Ma questa volta non si gira per di là. Siamo in val Clarea, no, siamo a Rimini. Mille? Duemila? Chi può dirlo? Certo la tensione passa di colpo. Tutta la notte appesi agli sms botta e risposta con chi è rimasto a casa. “Che succede? Arrivano?” Notte in bianco per chi è sul posto ma anche per chi da casa è preoccupato, per gli amici, per il figlio, per il marito, per per per. Ogni pila frontale accesa ha una ragnatela di amicizie e parentele lasciate in bassa valle. Nessuno dorme. Un grande unico respiro trattenuto per tutta la notte. Stasera non passano, non ce la fanno, siamo troppi.
Chiara Sasso – 30 Maggio 2011