di Riccardo Humbert
Non so chi abbia avuto l’opportunità di vedere – dal vivo, al Politecnico di Torino oppure in streaming – l’interessante dibattito tra due docenti universitari contrari al TAV vs. (“versus”, come dicono in America, ma a me diverte troppo per non usarlo) altrettanti illustri docenti favorevoli, invece, all’opera. Il dibattito si è aperto con il prof. Marco Ponti, del Politecnico di Milano, il quale ha subito esordito curiosamente sottolineando l’inutilità del suo intervento. “Ciò che dirò”, sosteneva, “è già scritto e assodato su basi scientifiche da parecchio tempo, non posso dire nulla di nuovo se non confermare l’inutilità e l’insostenibilità più totale di quest’opera. Non solo, più passa il tempo è più le ragioni scientifiche si rafforzano”. Un ripasso, però, non fa mai male e così abbiamo visto gli inconfutabili dati sull’assurdità di un’impresa che non ha motivo di esistere se non quello, plurinoto, di distribuire denaro a destra e a manca ai soliti noti. Attendevamo con ansia e curiosità di conoscere gli aspetti tecnico-scientifici favorevoli alla sua costruzione. Il professor Mario Villa, con grande onestà intellettuale, ha riconosciuto il valore dei dati portati dalla controparte. “Sono inconfutabili”, ha detto, e poi si è espresso in motivazioni proiezionali basate – e non lo ha mai negato – su mere supposizioni di “possibili, eventuali scenari futuri”. Più articolato, invece, l’intervento del professor Barbieri, anch’egli favorevole al progetto. Ma anche decisamente più oscuro. Esordisce anch’egli con il riconoscimento dei dati però poi si tuffa in una complicata analisi sui diversi punti di vista e di lettura dei dati in un altro contesto. Un’analisi molto emotiva che lo porta a presentare alcune slide ricche di curve colorate che confluiscono tutte sul Piemonte a dimostrazione della centralità dello stesso. Parla di rapporto tra treno, merci, territorio, dove non va uno va l’altro. E se l’altro non ci va ce lo facciamo arrivare. Fa riferimento a fantomatiche “reti” – non so se si riferisse a quelle della Maddalena – e poi si esibisce in acrobazie verbali, esercizi di dialettica e produce vaticini da aruspici che sembrava di essere a Scienze Politiche più che non a un Politecnico. Onestamente, professore, non abbiamo capito una mazza. E’ vero che in Italia le variegate forme di comunicazione vanno dagli acrobatici e fumosi volteggi verbali al dito medio e qualche pernacchia unita a un rutto del Ministro per le riforme, per passare poi alle reazioni virili del Ministro della Difesa che, per non ascoltare un avversario in una diretta tv, si mette le dita nelle orecchie e gli canta la filastrocca delle tre scimmiette. Però, suvvia, ci sono le vie di mezzo.! Io credo che lei sia un gran cultore del Manzoni, vero? Quello che riusciva a far negare l’esistenza della peste a Don Ferrante, non lo neghi! Se poi ci voleva tirare fuori anche il teorema biblico di Bartolomeo Giachino sul letto del fiume e l’acqua che ci arriva dopo, beh, non mi pare questo il momento. Se noi abbiamo l’acqua in casa è proprio perché qualcuno, invece di pulire gli invasi, spreca il denaro in inutili trinceroni che alla prima alluvione faranno galleggiare il suo bel TAV (Treno ad Ampie Vogate)
Comunque qualcosa non torna. Le ragioni del Si vengono affidate a motivazioni emozionali, filosofiche e anche a spot pubblicitari tipo Mulino Bianco dove il bimbo – tenero – corre alla finestra a vedere il treno che passa (E’ il progresso, baby. Entriamo in Europa.). Le valutazioni contro la costruzione della “cosa” hanno invece serie, comprovate e inoppugnabili motivazioni scientifiche. L’avete confermato anche voi. Ma una volta non eravamo noi i montanari ignoranti, quelli che le caprette ci fanno ciao e dei pantaloni di velluto a coste larghe? Qualcosa non quadra veramente anche perché, tra le altre cose, nessuno dei soloni dell’opera è ancora stato in grado di farci capire la compatibilità fra treni veloci e treni merci all’interno del tunnel a chilometraggio variabile (una volta è lungo 52 chilometri, un’altra 57. Anche loro hanno le idee poco chiare). Siccome, a causa delle differenti velocità, non possono viaggiare insieme nel tunnel e siccome il professor Barbieri garantisce il transito di un treno ogni sei/sette minuti, cosa succederà? Ecco perché hanno ideato la stazione internazionale a Susa! Nell’attesa che il merci esca dall’altra parte i passeggeri veloci del treno veloce si faranno un veloce giretto per la città. E così abbiamo anche risolto il problema del turismo!
Nel frattempo la natura ha deciso di dire la sua, e abbiamo assistito all’ennesima alluvione didattica che però, in un mondo di somari, difficilmente avrà effetti istruttivi sulle menti malate dei produttori di Pil. Abbiamo assistito al crollo di ponti costruiti dopo l’ultima alluvione, poiché – in base alla nuova teoria dell’obsolescenza programmata – così deve essere. Però vogliamo fare il Tav. Continuiamo a considerare l’Italia come il ridente paese del mare, della pizza e dei mandolini da una parte e quello dei lustrini e delle paillettes dell’asse metropolitano Milano-Roma dall’altra; la prima una Stoccarda che si crede New York (cito semplicemente Umberto Eco) e l’altra una vecchia matrona corrotta e adagiata sui suoi vizi.
Eppure il territorio italiano è costituito al 54,3% di montagne. Di quelle stesse montagne completamente ignorate e che l’incuria di stato vuole sacrificare al cemento. L’Italia va a rotoli non per la mancanza di grandi opere, ma di quelle piccole! A Genova la gente muore nell’acqua sotto le macchine, e noi vogliamo il Tav! Se io raccolgo una pianta abbattuta nell’alveo di un torrente prendo la multa e rischio la galera, però vogliamo il Tav! Un ponte costruito cinque anni fa crolla alla prima piena mentre centinaia di ponti romani resistono da duemila anni, e poi vogliamo il Tav! Ecco perché questa sgangherata Italia non riparte, siamo ancora fermi tra l’incomprensibilità aulica dei professori e i rutti e le scorregge dei ministri. Non c’è scampo.