Il 21 luglio 2016 Repubblica e Stampa danno notizia, nel sito dedicato a Torino e nelle pagine cartacee locali, dell’emissione da parte del gip di Torino, di «dieci obblighi di firma per altrettanti antagonisti che il 25 settembre dell’anno scorso avevano fatto irruzione nella sede della Turkish Airlines all’aeroporto di Caselle» inscenando una «manifestazione di protesta, con slogan, striscioni e volantini» contro il presidente turco Erdogan e la sua politica repressiva nei confronti del popolo kurdo.
Nell’occasione una ventina di persone, a volto scoperto e ben riconoscibili, si erano recati all’aeroporto di Caselle, erano entrati nell’ufficio della Turkish Airlines, avevano esposto uno striscione con la scritta “Erdogan assassino” e letto un documento di dura contestazione del Governo turco, andandosene poi senza che si verificassero scontri o incidenti e inserendo il video dell’irruzione sui siti di area.
La misura cautelare, emessa quasi un anno dopo, evoca i reati di violazione di domicilio, violenza privata e resistenza a pubblico ufficiale. L’elemento oggettivo necessario per la sussistenza dei reati contestati viene individuato, oltre che in alcune spinte reciproche con il general manager della compagnia (intrecciate con una discussione mai interrotta), nella «minaccia implicita determinata dal numero delle persone schierate».
Il 2 settembre successivo si tiene, davanti al Tribunale di Torino, l’udienza per il riesame della misura. Il giorno stesso i siti di Stampa e Repubblica riportano la notizia, segnalando l’avvenuta lettura in aula da parte degli indagati di un documento contenente «insulti e minacce al pm».
Gli articoli sono letteralmente sovrapponibili, con un’identica frase (evidentemente tratta da una “velina”, non essendo neppur citata la provenienza da una qualche agenzia): «Contiene degli insulti al pm Antonio Rinaudo, della procura di Torino, la dichiarazione che oggi alcuni antagonisti hanno letto in tribunale durante l’udienza (svolta a porte chiuse) in cui si è discusso il riesame della misura restrittiva – obbligo di firma due volte al giorno – spiccata nei loro confronti.
Il presidente del collegio è anche intervenuto per criticare il contenuto del documento, dove compaiono frasi interpretate come “velatamente minacciose” in ambienti investigativi».
Nelle pagine di Repubblica del giorno successivo il concetto viene ribadito richiamando le minacce fatte ai giudici da imputati per terrorismo durante gli anni di piombo. Peccato che il documento, pur costruito su critiche pesanti e magari per qualcuno discutibili al pubblico ministero, non contenga alcuna minaccia, né esplicita né implicita, e neppure insulti.
Eccone – a comprova – il testo (diffuso su siti di area antagonista):
“Come è noto, in quest’aula si discuterà la nostra sorte in merito alle misure cautelari comminateci nell’ambito dell’inchiesta per l’iniziativa contro la Turkish Airlines di Torino-Caselle.
La Procura torinese, in particolare nella persona del qui presente pubblico ministero Antonio Rinaudo, è ormai nota a chiunque per il suo accanimento nei confronti di ogni lotta sociale. Altrettanto noto è il tentativo di genocidio e la brutale repressione del dissenso in corso in Turchia: le purghe, gli arresti di massa, le torture e gli stupri nelle carceri, i bombardamenti e i massacri di civili, sono ormai all’attenzione mediatica internazionale, ben più di quando noi li denunciammo irrompendo nella sede della compagnia di bandiera turca un anno fa. Il procuratore Rinaudo sarà dunque senza dubbio consapevole e fiero del proprio ruolo di difensore del buon nome della Turchia di Erdogan, dei suoi rapporti amichevoli con la Comunità europea, dei traffici d’armi, dei ricatti sui profughi e del suo ruolo di gendarme della NATO. Peraltro, non è difficile immaginare la fascinazione che un ligio funzionario di Stato può provare nei confronti di un Paese come l’attuale Repubblica di Turchia, il sogno realizzato di ogni burocrate di regime in vena di sfogare le proprie frustrazioni su prigionieri e dissidenti.
Le misure restrittive cui siamo sottoposti, del resto, non fanno mistero delle loro motivazioni: impedirci di reiterare le condotte di cui siamo imputati, ovvero sostenere la lotta rivoluzionaria in Kurdistan. A tal proposito temiamo di dover deludere il solerte procuratore: non abbiamo alcuna intenzione di interrompere una solidarietà di cui c’è oggi più bisogno che mai e per la quale, semmai dovessimo rimproverarci qualcosa, sarebbe piuttosto di non esser riusciti a fare abbastanza. È per questo che la gran parte di noi non sta rispettando le restrizioni ricevute, e vi preannuncia che ha intenzione di continuare a farlo, qualunque sarà la decisione che prenderete in quest’aula. Noi abbiamo già deciso.
Non avendo ancora l’Italia raggiunto il livello di maturità democratica della Repubblica di Turchia, qualche scrupolo sconsiglia ancora di lanciarsi in deportazioni e carcerazioni di massa; è così che, negli ultimi anni, uno stillicidio di misure repressive a bassa intensità, tra divieti, obblighi, fogli di via, è stato messo in campo nel tentativo di soffocare i conflitti crescenti e i movimenti popolari. Il procuratore Rinaudo è ovviamente in prima fila in questa battaglia, ma – ci spiace dover nuovamente deludere le sue aspettative – è una battaglia persa. Non solo tale strategia non sta ottenendo gli effetti sperati, ma sta ottenendo l’effetto contrario, fornendoci occasioni insperate di rilanciare le lotte, di creare nuovi legami, di acquisire forze inedite… Sempre più persone si rifiutano di sottostare ai suoi stupidi divieti, e sempre più gente solidarizza e sostiene chi resiste… Sta diventando patetico, signor Rinaudo. Si metta il cuore in pace, non fa più paura a nessuno.”
Il 3 settembre il Tribunale deposita la propria decisione con la quale annulla la misura cautelare per due imputazioni e la revoca per la terza.
Della decisione non viene data alcuna notizia sui siti di Stampa e Repubblica e neppure sulle edizioni cartacee degli stessi giornali del 4 settembre.
Quando si dice un’informazione completa e corretta che consente ai cittadini di sapere e di capire.
Solo il giorno successivo Repubblica dà la notizia della revoca della misura, con evidente ritardo nonostante la precedente tempestività…
Sarà che sia corsa ai ripari solo quando il silenzio ha cominciato ad essere oggetto di polemiche e le notizia oramai da un giorno imperversava nei social?