da Lettera 43 –FRANCESCA BUONFIGLIOLI –Il cunicolo esplorativo di Chiomonte, primo capitolo dell’opera, è stato concluso. Tra delibere Cipe, note, varianti appaltate senza nuove gare. Ecco cosa non torna nel progetto, costato 30 milioni più del previsto.
Tav Torino-Lione ha tagliato un primo traguardo. Il 22 febbraio è stato concluso il cunicolo esplorativo della Maddalena a Chiomonte, un tunnel geognostico realizzato per analizzare gli strati di roccia sotto il massiccio dell’Ambin. Il costo dell’opera, il cui cantiere è stato aperto nel 2012, è di 173 milioni di euro, di cui 20 – ha precisato il direttore di Telt, Maurizio Bufalini – sono stati spesi per misure di sicurezza volte a difendere l’area dalle azioni di protesta e ospitare le forze dell’ordine. La fresa “Gea” si è fermata a 7.020 metri, sui 7.500. previsti. Taglio del nastro, foto di rito e si va avanti. Tutto chiaro? Non proprio. Negli anni sul cantiere del cunicolo esplorativo si sono addensati ricorsi e critiche da parte del Movimento No Tav. A partire dall’annosa questione dei costi.
La delibera Cipe 86/2010, che approvava il cunicolo esplorativo di Chiomonte, stabiliva come limite di spesa 143 milioni di euro per un tunnel lungo 7,5 chilometri. Una successiva delibera del 2015, la numero 19, ha poi aggiunto altri 30 milioni per «misure di sicurezza nel cantiere di Chiomonte»: ed ecco così spiegata la cifra di 173 milioni. Ma non è finita perché a fine 2016 Telt, promotore pubblico francese responsabile della realizzazione e della gestione della sezione transfrontaliera della futura linea Torino-Lione, ha proposto una variante: la riduzione dello scavo di circa 500 metri. Alla quale però, hanno fatto notare i No Tav, non è seguito un taglio dei costi.
«COSTI DEL CUNICOLO AUMENTATI DEL 21%». «Rispetto alla delibera Cipe del 2010», si legge sul sito No Tav Info, «i costi sono aumentati del 21% (da 143 a 173 milioni di euro), e lo scavo si è accorciato del 7% (da 7,5 a 7 chilometri)». Solita “italietta”, si potrebbe dire, con i costi e i tempi che si espandono come panna montata. Se non fosse che il “vizio” del cunicolo geognostico della Maddalena, secondo i critici, va ben oltre questo. Sintetizzando, per gli attivisti quel cantiere a Chiomonte non doveva proprio esserci.
PRIMO APPALTO AGGIUDICATO PER 84 MILIONI. Nel progetto originario il cunicolo esplorativo, solitamente scavato parallelamente al tunnel principale, partiva – come era logico che fosse – da Venaus. Il primo appalto (assegnato il 3 agosto 2004) andò all’Ati Cooperativa Muratori e Cementisti – che aveva e ha come capofila la Cmc di Ravenna, racchiudendo anche Strabag Ag, Cogeis Spa, Bentini Spa, Geotecna Spa – che poi costituì una Scarl, la Venaus, per un importo di 84 milioni. A causa delle proteste dei No Tav, la stazione appaltante Ltf (Lyon Turin Ferroviaire Sas, di diritto francese), poi diventata Telt, decise di spostare il cantiere in val Clarea, tra Giaglione e Chiomonte, a poco più di 4 chilometri da Venaus.
Il nuovo progetto, autorizzato dal Cipe con la deliberazione del 18 novembre 2010, “Programma delle infrastrutture strategiche (legge 443/2001)”, venne fatto passare come una variante del precedente e quindi da assegnare senza ulteriore gara. Per i comitati, però, qualcosa continuava a non tornare. Per capire perché bisogna fare un passo indietro e chiedersi se Tav e cunicolo geognostico rientrassero o meno nelle opere strategiche.
PRODI TOLSE LA TAV DALLE OPERE STRATEGICHE. Nel 2001, il governo Berlusconi II con la legge Obiettivo li aveva fatti rientrare nella lista delle infrastrutture strategiche semplificandone la procedura di appalto e le norme di valutazione di impatto ambientale. La lista venne però rivista dal governo Prodi. Nell’allegato Infrastrutture al Dpef del 2007, infatti, si legge: «La Torino-Lione è stata attualmente estrapolata dagli interventi della legge Obiettivo e seguirà la procedura ordinaria».
E IL CIPE CONFERMÒ LA DECISIONE. Questa decisione, di fatto, venne confermata dalla deliberazione del Cipe del 6 marzo 2009: «A fronte dell’approvazione di nuove opere con un conseguente ovvio aumento del costo complessivo del perimetro del Programma relativo agli interventi già approvati dal Cipe», è scritto a pagina 30, «si registra un abbandono sostanziale delle attività relative ad alcune grandi opere come il Ponte sullo Stretto, il collegamento ferroviario Torino- Lione e le linee Av/Ac già deliberate dal Cipe a causa dell’annullamento dei contratti dei Contraenti generali».
Se l’opera non ricadeva sotto la legge Obiettivo, la cui eccezionalità è stata criticata anche dal numero uno dell’Anac Raffaele Cantone, era possibile apportare varianti senza gara secondo le procedure ordinarie? Secondo i No Tav, la risposta è negativa. In altre parole, il progetto del tunnel della Maddalena avrebbe dovuto essere riapprovato ex novo, con consenso unanime della conferenza dei Servizi. Cosa che non è avvenuta.
«NON SERVIVA UN NUOVO APPALTO». Secondo Giuseppe Martino Di Giuda, docente del Dipartimento di architettura e ingegneria dell’ambiente al Politecnico di Milano, un nuovo appalto però non era necessario: «Il passaggio dei lavori tra Ati e Scarl è del tutto lecito e non costituisce certo né cessione di appalto e né subappalto, trattandosi invece di modalità esecutive dell’appalto prevista dalla legislazione», spiega a Lettera43.it.
UN’OPERA PROPEDEUTICA AL PROGETTO. «In sostanza, non vi è un affidamento dei lavori a un soggetto terzo», prosegue Di Giuda. «Non serve quindi un appalto nuovo, così come non serve alcun appalto per l’affidamento del tunnel della Maddalena, qualificato come variante di quello originario». Il cunicolo esplorativo, poi, è un’opera propedeutica al progetto del tunnel, non il progetto stesso. In altre parole, avendo la funzione di indagine e rilievo, è uno strumento funzionale alla realizzazione del tunnel di base, consente di fare scelte e, se necessario, modificarle.
Nel 2010 la Lyon Turin Ferroviaire, la controllata della società italiana Rfi e dalla francese Rff aggiudicataria della realizzazione dell’opera, presentò sempre al Cipe il progetto esecutivo del tunnel di Venaus, in realtà abbandonato e sostituito dalla variante di Chiomonte. Il ricorso di irregolarità, presentato dalla comunità montana della Bassa valle di Susa e della val Cenischia – poco dopo commissariata dalla Regione Piemonte -, fu bocciato dal Tar del Lazio nel 2014, perché una nota del ministero delle Infrastrutture firmata dalla struttura tecnica guidata da Ercole Incalza (arrestato nel 2015, poi prosciolto con archiviazione per alcuni fatti) sosteneva che la Torino-Lione rientrava a pieno titolo nella cornice della legge Obiettivo.
OGGI LA TAV RIENTRA NELLA LEGGE OBIETTIVO. La nota richiamava l’allegato infrastrutture del settimo Dpef 2010-2013, nel quale «l’intendimento di prevedere la realizzazione del collegamento ferroviario Torino-Lione tra le opere strategiche risulta desumibile dall’esplicito richiamo, riferito al sistema dei valichi». Ma una nota a margine della tabelle dello stesso Dpef chiariva che nel sistema dei valichi non era compresa la tratta Torino-Lione. Ma oggi la Tav Torino-Lione rientra in quello che resta della legge Obiettivo? La risposta è sì, come si evince dall’allegato 3 del Def 2015. Il progetto appare tra le opere Pis e cioè il Programma Infrastruttire strategiche.
Ad avanzare qualche dubbio sull’assegnazione senza gara del cunicolo della Maddalena non furono però solo i comitati, ma anche i Ros. Nelle carte dell’indagine San Michele su presunti affari della ‘ndrangheta negli appalti, tra cui quelli dei lavori preliminari della Torino-Lione, i carabinieri scrissero: «L’accordo con Cmc, a sei anni dall’aggiudicazione del tunnel di Venaus, mai realizzato, è dato quasi scontato da Ltf, tuttavia sono sorte delle perplessità circa la validità di questa assegnazione, nella considerazione del fatto che sono trascorsi più di cinque anni dalla data di aggiudicazione dell’appalto e inoltre potrebbero essere lievitati i costi per la realizzazione dell’opera». Un’altra annotazione che non venne presa in considerazione.
L’INTERROGAZIONE DEL M5S A BRUXELLES. L’11 novembre 2016 una interrogazione alla Commissione Ue presentata dagli europarlamentari pentastellati ha cercato di riaccendere i riflettori sul cantiere. Secondo il M5s, l’assegnazione dell’appalto senza gara e il finanziamento con fondi europei contrastava «con la decisione summenzionata della stessa Commissione, che richiede espressamente il rispetto della normativa comunitaria sugli appalti per la realizzazione delle attività finanziate con fondi europei».
MA PER L’UE È TUTTO REGOLARE. Bruxelles ha risposto il 13 febbraio dichiarando la regolarità dell’aggiudicazione dell’appalto. «A seguito dell’accordo politico del 2008 (accordo di Pra Catinat) con le autorità locali, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (Cipe) ha riconosciuto la galleria della Maddalena come variante del tunnel di Venaus e ha riveduto il valore totale delle attività». Aggiungendo che «l’aumento di valore rientra nei limiti fissati dalle disposizioni del Cipe». Anche per Bruxelles dunque il progetto è regolare.
C’è infine un altro nodo insoluto secondo i No Tav: l’assenza di un progetto esecutivo unitario del tunnel della Maddalena, premessa necessaria per l’efficacia della delibera Cipe del 2010 e previsto dalla stessa. Il progetto del cunicolo di Chiomonte è in realtà quello relativo a Venaus, nonostante le due opere siano sensibilmente diverse.
LE DIFFERENZE TRA VENAUS E CHIOMONTE. L’imbocco di Venaus dista dalla Maddalena almeno 4 chilometri; è situato a un’altitudine di 566,85 metri contro i 671,50 della Maddalena; Venaus si trova in prossimità del bacino del torrente Cenischia, mentre La Maddalena sul Clarea ed era parallelo al tunnel di base (il cunicolo di Chiomonte lo intercetta dopo ben 3.600 metri). Differenze che renderebbero addirittura inutile parte dell’attività esplorativa funzionale alla realizzazione del futuro tunnel di base. L’assenza di un progetto esecutivo unitario ad hoc, che doveva essere presentato prima dell’inizio dei lavori (come da cronoprogramma), secondo i comitati potrebbe rendere inefficace la delibera stessa.
Al posto di un progetto esecutivo unitario, si optò per uno per lotti. «Lo sviluppo del progetto esecutivo», spiegò nel 2013 Mario Virano, allora presidente dell’osservatorio Tav voluto dal governo e oggi direttore generale di Telt, «spetta all’impresa titolare dell’appalto integrato e, come sempre accade in tutte le grandi opere di questo tipo, viene sviluppato in lotti. Indicativamente, anche per lo scavo, sarà redatto un esecutivo all’avanzamento di ogni 100 metri». L’ennesima irregolarità, secondo i No Tav.
I GUAI GIUDIZIARI DI VIRANO. Tra l’altro, lo scorso novembre Virano è stato rinviato a giudizio per omissione di atti di ufficio. Nel 2010-11, quando presiedeva l’Osservatorio sulla linea Tav Torino-Lione, non avrebbe consegnato subito dei documenti chiesti da un rappresentante della Comunità Montana della Valle di Susa (ora costituito parte civile). La procura aveva chiesto l’archiviazione del procedimento, ma un giudice del tribunale aveva ordinato la cosiddetta imputazione coatta.
LA MANCANZA DI TRASPARENZA. Al netto del dibattito sull’utilità della Tav (o “il Tav”, come dicono in Val Susa, non solo perché sta per treno ma anche, per estensione, per Potere) e sulla regolarità tecnica messa in discussione dai comitati, a bruciare in Valle è soprattutto la mancanza di trasparenza nell’iter della realizzazione di una Grande opera di così forte impatto per i cittadini. Gli ultimi 25 anni sono pieni di cavilli, note e delibere spesso ignorate. «Artifici» li definisce qualcuno. Una nebbia che ha contribuito a trasformare uno dei cantieri più militarizzati di Italia in un campo minato.