di Luca Mercalli
Le affermazioni del ministro Alfano in visita al cantiere Tav in Valsusa a settembre suonano sinistre in questi giorni di memoria del Vajont: “Nessuno potrà fermare un’opera che è stata decisa da uno Stato sovrano (…) Lo Stato difende quest’opera, ne assicura la realizzazione, lo fa con tutta la forza dello Stato, perché il mestiere dello Stato è difendere i cittadini e le opere che ritiene strategiche come questa”.
Avessero le nostre istituzioni governative una storia specchiata in fatto di opere giudicate strategiche e poi costruite a regola d’arte e rivelatesi tali alla prova dei fatti, si potrebbe anche accettare questo principio d’autorità. Avessero, le italiche istituzioni, adoperato lo stesso zelo per la messa in sicurezza sismica e idrogeologica, la lotta al consumo di suolo, l’efficienza energetica, il riciclo dei rifiuti, ci si potrebbe fidare. Ma l’elenco dei fallimenti voluti e difesi da questo nostro Stato è senza fine. Nel miglior caso, come il G8 alla Maddalena, si sono buttati via soldi pubblici, seguono i danni ambientali, fino alla perdita di vite umane causata da caparbia testardaggine contro l’evidenza dei fatti, di cui il Vajont è l’apoteosi.
E di nuovo, sul supertunnel ferroviario Torino-Lione, doppione di una linea esistente sottoutilizzata, lo Stato non accetta discussioni, assumendo d’imperio che la sua decisione sia quella giusta, affermando che la valutazione di merito è già stata fatta (ovviamente dando ragione a se stesso). Più nessuno discute dei motivi dell’opposizione, ma solo delle sue forme, pacifiche o violente che siano, comunque frustranti e preoccupanti per tutti. Per questo una folta rappresentanza di accademici italiani, già rivoltasi all’allora presidente del Consiglio Monti senza alcuna risposta, riprova con un appello al Capo dello Stato ( www.forumfuturo.it ). Che offre la via d’uscita più semplice e razionale: occuparsi di curar la malattia e non solo i sintomi, riprendere, una volta per tutte quell’analisi mai compiuta opportunamente dei dati tecnico-economici che secondo autorevoli fonti di scienza e di governo, italiane e francesi, renderebbero quest’opera ambientalmente deleteria e costosissima, un’inutile Fortezza Bastiani delle Alpi Cozie.
Si costituisca una commissione di valutazione imparziale e volontaria, sull’orma di quanto l’Ipcc ha realizzato verso le obiezioni sui cambiamenti climatici. Se lo Stato è sicuro della bontà delle proprie scelte, non avrà certo paura di difenderle con la ragione piuttosto che con i lacrimogeni, illustrarle in modo trasparente, metodologicamente rigoroso, scientificamente verificabile e socialmente condiviso. A quel punto si guadagnerà la fiducia dei cittadini – inclusi quelli della Valsusa, che le giustificazioni “strategiche” continuano a vederle fallaci – e acquisirà così il diritto di difendere anche con i blindati le sue decisioni sovrane, ma certificate da metodo oggettivo e non da principi assolutisti. Se viceversa, quelle promesse traballanti sul potere salvifico del colosso ferroviario non reggeranno alla prova della falsificabilità scientifica, allora sia lo Stato a fare un passo indietro, e per una volta eviti i danni prima che sia troppo tardi.
RISPONDERÀ il Presidente Napolitano? Costituirà una commissione super-partes, che è pure un modo per togliere ogni pretesto alla violenza? Non c’è nulla di male a rimettere in discussione un’opera di tali dimensioni: in caso di fallimento i costi sarebbero così elevati che una verifica aggiuntiva, ora che si è appena ai preliminari, denoterebbe prudenza e saggezza. Affermare, come Alfano, che “È un’opera strategica, è frutto di trattati internazionali, che hanno il bollo del Parlamento italiano”, è un po’ labile. La storia ci insegna a non fidarci molto di quel bollo, e – come cittadini e contribuenti – siamo legittimati a conoscere nei dettagli le motivazioni del supertunnel, argomentate con tonnellate di merci, cemento, acciaio, detriti di scavo, chilowattora, emissioni di CO2, debito pubblico, piano di rientro economico e piano B se qualcosa va storto, soprattutto con i tempi che corrono. Invece nel decreto “femminicidio” passa l’emendamento che estende ai cantieri (alle cantiere?) controllati/e da pubblica sicurezza il reato di spionaggio politico o militare se fotografi o documenti. In mancanza di quella trasparenza necessaria alla valutazione razionale dell’utilità di una “grande opera”, l’imperiosa dichiarazione governativa suona simile a: “Il Tav si farà. A costo di trovare un motivo valido”. E di spazzar via chiunque pensi il contrario.