A qualche ora dalla manifestazione contro il raddoppio della Torino-Lione in Val Maurienne, prevista per il 17 giugno, proviamo a fare il punto su una mobilitazione che arriva in un momento cruciale e che sta già creando scompiglio nel campo dei favorevoli all’opera a livello locale, nazionale e internazionale. Ma procediamo con ordine.
Pochi mesi fa è arrivato il rapporto del COI (Consiglio di Orientazione delle Infrastrutture), organo del governo che si occupa di definire la strategia trasportistica a medio e lungo termine dello stato francese. Doccia fredda anzi gelata per i promotori del TAV: il COI non raccomanda nessuno dei tre scenari per la tratta francese ma semplicemente il rinnovamento della linea esistente fino a Digione, come sostenuto dagli oppositori del progetto, sostenendo che le previsioni di traffico avanzate per giustificare il progetto non sono realiste visto che, con la linea esistente, si potrebbero già portare 16,8 milioni di tonnellate di merci su rotaia rispetto ai 3 milioni attuali. Il COI ovviamente non si esprime sul tunnel di base, trattandosi di opera internazionale, ma di fatto, senza gli accessi lato Francia, tutto il progetto va a monte. Questo perché, come ha ammesso a mezza voce a inizio maggio persino Paolo Foietta, voce che non si può certo sospettare di connivenza valsusina, “così salta ogni analisi di costi e benefici”. Per analisi costi benefici Foietta intende quella (farlocca) pubblicata nei suoi quaderni dell’Osservatorio in cui si assicura che le 10 milioni di tonnellate di CO2 prodotte dal cantiere per lo scavo del tunnel di base saranno riassorbite nel giro 25 anni dall’inizio dei lavori, grazie all’esplosione dell’interscambio tra Italia e Francia, calcolo che invece, senza gli accessi francesi, va a farsi benedire non essendoci più la possibilità tecnica di far passare 180 treni al giorno sulla nuova linea, cosa per altro sostenuta al di là di ogni ragionevolezza da Telt & soci. Detta altrimenti, se prima si poteva ancora discutere di TAV, ora è impossibile sostenere che esso sia un progetto green in qualunque modo. Amen.
Nel nostro paese, la cosa ha portato a delle timide reazioni da parte del ministro Salvini, per il noto squilibrio nella ripartizione dei costi del tunnel di base tra Italia e Francia che era stato appunto giustificato anni fa dal maggiore onere per gli accessi lato francese facendo vacillare anche i più fanatici pasdaran del TAV (Ma come?! Allora avevano ragione i notav: la Francia non lo vuole proprio!). Quanto al versante francese, sindaci e consiglieri regionali pro-tav si sono scapicollati a Parigi chiedendo in ginocchio di finanziare gli accessi nella solita logica della concorrenza tra territori per cui si provano ad attirare finanziamenti purchessia. Clément Beaune, ministro dei trasporti e macronista di ferro, ha sornionamente risposto che lo Stato è pronto a mettere solo la metà della cifra prevista, invitando la regione a mostrare concretamente il proprio entusiasmo per il TAV mettendoci gli altri 3 miliardi. Quest’ultima si è dichiarata pronta a mettere solo un altro miliardo, spedendo la palla nel campo dei comuni che dovrebbero trovare 2 miliardi, ipotesi assolutamente fantasiosa sapendo che, per di più, il sindaco della principale città toccata dal progetto (Lione) è contrario all’opera. Il tutto ammesso e non concesso che l’UE paghi effettivamente anche il 50% non solo del tunnel transfrontaliero ma anche delle tratte nazionali cosa ancora tutt’altro che chiara visto che per ora il finanziamento effettivo si aggira intorno al 20%. Insomma, un gioco delle sedie di cui non si vede fine, mentre di voci a bilancio non se ne vedono, del progetto non c’è neanche l’ombra e nel 2028 scade l’autorizzazione per i lavori.
Nel frattempo, da diversi mesi, il fronte degli oppositori all’opera ha fatto una nuova scommessa politica che prova a raccogliere l’effervescenza del movimento ecologista francese per convogliarlo nella lotta alla più grande devastazione dell’arco alpino che montagna ricordi. Questa è l’idea alla base della mobilitazione del 17 e 18 in Val Maurienne, costruita mano nella mano dai NO TAV di Val di Susa e Val Maurienne assieme ai Soulevements de la terre. Quest’ultimo è un giovane movimento ecologista nato dall’esperienza (vittoriosa) della ZAD di Notre-Dames-des-Landes e che sta dando man forte ai vari comitati contro spreco d’acqua e consumo di suolo, esprimendo la voglia di mettersi in gioco di una gioventù a cui le grandi sfilate per il clima non bastano più. Partecipano anche il sindacato dei ferrovieri SUD e il sindacato contadino Conféderation paysanne.
Una mobilitazione inedita, che ha creato il panico nel sonnecchiante campo SI TAV, riaprendo un dibattito che si credeva chiuso da decenni. In fretta e furia, sostenuto dalla gran cassa dei giornali locali, i favorevoli all’opera hanno provato ieri a imbastire una “grande mobilitazione popolare” (cit.) per sostenere il raddoppio della Torino-Lione alla stazione di Saint-Jean de Maurienne, raccogliendo 100 persone striminzite. Un flop clamoroso per un cantiere che, a loro dire, farebbe già lavorare 1.500 persone quotidinamente. A questo si aggiunge l’annuncio, dato martedì, delle dimissioni dell’ex-magitrato della Corte dei conti, Pierre Jamet, dal ruolo di vice presidente della Transalpine, la lobby di sostegno al TAV. Il magistrato lamenta scarsa trasparenza su conti e metodi da parte dei promotori dell’opera. La macchina della grande mala opera, insomma, sulla spinta della mobilitazione, inizia a perdere pezzi importanti.
Ovviamente, quando non si può vincere sul piano politico, restano sempre i mezzi preferiti dal potere: terrore e manganello. Da giorni in Val Muarienne i potentati locali e la questura stanno provando a seminare il panico tra gli abitanti. La manifestazione no tav prevista per sabato è stata vietata dal Prefetto nonostante le ampie concessioni sul percorso fatte dagli organizzatori e nonostante tra i promotori ci fossero parlamentari nonché il sindaco di Grenoble, mentre la polizia ha dato in pasto ai giornali indiscrezioni che parlano di 400 “facinorosi” in arrivo. Pare anche che la digos di Torino abbia anche fornito una lista di proscrizione con nomi e cognomi di 107 attivisti no tav per cui sono stati emessi altrettanti fogli di via preventivi dal territorio francese. Insomma, mentre i promotori dell’opera possono incontrarsi proiettando powerpoint patinati infarciti di retorica sulla macro-regione alpina e la progettazione partecipativa attenta al territorio, ai valligiani che si oppongono all’opera viene impedito con ogni mezzo di manifestare il proprio dissenso: è l’Europa del TAV, bellezza.
Si tratta di mezzucci infami che in Val di Susa conosciamo fin troppo bene ma che non sembrano attecchire neanche Oltralpe. Ieri c’è stata una conferenza stampa in cui tutti gli organizzatori hanno ribadito che il divieto di manifestare costituisce un’intimidazione inaccettabile, mentre i Verdi hanno annunciato ricorso al TAR. Anche qui, la paura non è di casa.
Ancora prima che la mobilitazione cominci, questa ha avrà già avuto il merito di riaprire i giochi e seminare il dubbio tra chi, per pigrizia o ignoranza, ha sempre preso per buone le verità ufficiali. Oggi il quotidiano Libération dedica la prima pagina alla questione TAV, chiedendosi se non è arrivato “il momento di uscire dal tunnel”. Insomma, lato Francia, les jeux ne sont pas encore faits e il progetto non è mai stato così traballante. Ancora una volta, però. la storia potrebbe aver bisogno di una spintarella. Appuntamento in Maurienne allora e come sempre… a sara düra!