di Fabio Balocco – Partiamo da una premessa: la carta stampata continua – nonostante la televisione e nonostante internet – ad avere una notevole influenza nell’indirizzare, nell’orientare l’opinione della gente su determinati argomenti. E se la carta stampata si chiama il Corriere della Sera, La Repubblica o La Stampa, il potere è ovviamente ancora maggiore.
Negli scorsi giorni è stato presentato a Torino uno studio – curato da Irene Pepe, Maurizio Pagliassotti e Massimo Bonato – che analizza il contenuto di articoli riguardanti la linea inutile nell’arco di tempo che corre dal 27 luglio 2013 (data della manifestazione No Tav a Susa) al 27 settembre 2013.
Quello che emerge dall’analitico studio è innanzitutto la grandissima attenzione dedicata all’opera: 53 articoli il Corriere, 208 La Stampa, ben 223 La Repubblica! Altro dato: la sostanzialeomogeneità di linguaggio usato dai tre quotidiani. Il primo tema su cui gli articoli sono concentrati è la violenza. Insieme alla violenza, l’altro argomento di attenzione è il cantiere. Il cantiere soprattutto in funzione di posti di lavoro attuali ed in prospettiva, e pertanto motivo di difesa assidua e costante da parte dello Stato. Altro termine ricorrente con maggiore frequenza è “il Movimento No Tav”, ma pressoché unicamente in funzione delle azioni di protesta che esso attua. Grande attenzione poi per le denunce contro il Movimento; scarsissima per quelle presentate dal Movimento, che pure (lo so per esperienza diretta) sono state numerose. Poi, si parla solo del mondo imprenditoriale di valle favorevole alla Tav, pressoché ignorato quello contrario, che si riconosce soprattutto in Etinomia.
Da rilevare inoltre come dai testi degli articoli emerga molto spesso un giudizio sull’azione del Movimento, e non già una descrizione obiettiva di ciò che esso fa. Quindi l’azione viene già definita a seconda dei casi come “antagonista, radicale, irriducibile, eversiva” etc.
Pressoché assenti le motivazioni per cui il Movimento agisce (dati oggettivi sull’inutilità dell’opera, rischi per il territorio, debito pubblico che aumenta), mentre abbondanti le motivazioni per cui l’opera deve andare avanti.
Niente di nuovo voi direte, sono cose risapute. Sì, ma un conto è dire che si sanno, un altro e ben diverso è avere dei dati oggettivi che ti confermano quello che credi di sapere. E cioè che intorno all’opera inutile gira un circo economico-mediatico che sostiene la realizzazione dell’operae mira a creare ampio consenso intorno ad essa.