L’attenzione dell’opinione pubblica è concentrata sul sabotaggio di alcune macchine del cantiere da parte di attivisti No Tav. Intanto, però, una delle società appaltatrici è a rischio di infiltrazioni mafiose.
Quando si parla di illegalità, gli occhi della grande informazione italiana finiscono inevitabilmente e costantemente in Val di Susa: tra le montagne piemontesi, secondo la stragrande maggioranza di politici e opinionisti, si anniderebbero sacche di cittadini dediti alla violenza, addestrati alla guerriglia, nostalgici del terrorismo e pronti praticamente a tutto pur di non far procedere un’opera “strategica” (per chi?) come la linea ad Alta Velocità Torino-Lione. In tema di legalità, non più di due giorni fa il ministro degli Interni Angelino Alfano ha invocato – a nome del Governo – provvedimenti speciali per impedire che i No Tav compiano altre azioni di sabotaggio al cantiere de La Maddalena: in un territorio già ampiamente militarizzato, si vorrebbe rinforzare ulteriormente la presenza di forze di polizia e ampliare la zona rossa, come se le misure repressive possano servire a piegare un movimento che da più di 20 anni pratica – anche attraverso azioni illegali, rivendicate e concordate in assemblee pubbliche – la resistenza verso un’opera considerata inutile e dannosa.
Ma chi controlla la regolarità delle ditte che partecipano ai lavori dell’alta velocità? E chi si assicura che i tentacoli delle organizzazioni criminali non arrivino anche in Val di Susa, a succhiare “sangue” in un progetto i cui costi sono incalcolabili con precisione (per via delle numerose proroghe), ma sicuramente di decine di miliardi di euro? Ad esempio, è di questi giorni la notizia che la Pato Perforazioni Srl di Rovigo parteciperà ai lavori (lo hanno confermato telefonicamente a Fanpage): si tratta di una ditta specializzata nella realizzazione di pozzi artesiani, quindi di perforazioni per costruzione di infrastrutture. Facendo una breve ricerca, però, si scopre che alla ditta non è stato rinnovato il certificato antimafia. A raccontarlo è lo stesso titolare della società, Gaetano Rosini, alla Cisl Veneto: “Un paio di mesi fa, dopo aver vinto a Palermo un appalto per le perforazioni relativi alle fognature, un lavoro da 1,4 milioni di euro, siamo stati messi fuori perché non c’era stato concesso il certificato antimafia dalla Prefettura di Rovigo per possibili infiltrazioni mafiose – racconta Gaetano Rosini -. Abbiamo chiesto spiegazioni e ci sono sempre state negate”. Al momento la Pato non è ancora in possesso del certificato antimafia, per via di alcuni approfondimenti che le autorità stanno svolgendo e che, secondo i titolari dell’impresa e la Cisl, dovrebbero comunque dare esito positivo. A mettere un po’ di chiarezza nella vicenda sarà il Tar di Salerno che nei prossimi giorni si dovrebbe pronunciare in merito alla certificazione.
Ma a cosa serve il certificato antimafia? Sostanzialmente ad assicurare l’esistenza di tutta una serie di requisiti previsti dalla legge 575/1965 in tema di “infiltrazioni” mafiose all’interno di un’impresa. L’assenza di questo certificato, ovviamente, non sta a significare che la Pato Srl abbia avuto a che fare con la criminalità organizzata. Ma Alberto Perino (leader del Movimento No Tav), interpellato telefonicamente da Fanpage, spiega: “Il certificato antimafia è obbligatorio per le imprese appaltatrici, come specificato dalla delibera del Cipe, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 6 aprile 2011″. Che, infatti, recita testualmente che: “Tutti gli affidamenti a valle dell’aggiudicazione principale siano subordinati all’espletamento delle informazioni antimafia e sottoposti a clausola risolutiva espressa, in maniera da procedere alla revoca dell’autorizzazione del sub-contratto e alla automatica risoluzione del vincolo, con conseguente estromissione dell’impresa, in caso di informazioni positive”.
Ma di episodi di infiltrazioni negli appalti delle linee dell’alta velocità se ne contano a decine, dunque non sono un’eventualità remota ed improbabile. Solo per citarne alcuni: nel 2007, la Direzione Nazionale Antimafia in una relazione dedicate alle infiltrazioni delle mafie nel Nord Ovest, e soprattutto in Piemonte, scriveva che erano fortemente rischio gli appalti dell’Alta Velocità Torino-Milano; e ancora “sotto analisi” alcune grandi opere già realizzate, anche per le Olimpiadi del 2006. In una relazione alla Dna dei Ros dei carabinieri, le indicazioni erano chiarissime: “In Piemonte, come in Liguria e Lombardia, si registra una pervasiva presenza di compagini della ‘Ndrangheta, operanti soprattutto nel settore del narcotraffico, che hanno investito sul territorio parte dei proventi accumulati con le attività illecite, realizzando una progressiva infiltrazione del tessuto politico-economico locale”.
Sempre la Direzione Nazionale Antimafia nel 2011 dava al Piemonte il terzo posto sul podio della penetrazione della criminalità organizzata calabrese: “In Piemonte la ‘ndrangheta ha una sua consolidata roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla Lombardia”. Così come dimostra la sentenza n. 362 del 2009 della Corte di Cassazione che ha riconosciuto definitivamente “un’emanazione della ‘ndrangheta nel territorio della Val di Susa e del Comune di Bardonecchia”. A spiegare il funzionamento del meccanismo è Roberto Saviano: “Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione post-terremoto del 1980: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d’appalto in virtù della presunta urgenza dell’opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d’opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per migliaia di miliardi. La storia dell’alta velocità in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell’edilizia e del cemento. Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte pronte e già si sono organizzate in questi anni”.
Ma ancora: il giornalista Giovanni Tizian lo scorso 21 marzo 2011 scriveva: “Una della aziende incaricata di costruire il tunnel esplorativo sotto la Val di Susa – la romagnola Bentini Spa – nel 2005 ha vinto l’appalto per il nuovo palazzo di giustizia di Reggio Calabria. Il subappalto della sede giudiziaria, su richiesta della Bentini, fu concesso alla Corf srl. E così la Corf srl con sede a Polistena e Bologna conquista una commessa da oltre un milione di euro. Ma secondo gli investigatori dietro la società calabro-emiliana si muovono però interessi che portano il marchio del clan Longo di Polistena, potente famiglia di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, alleata con cosche storiche come i Pesce”.
Insomma, alla luce delle informazioni circa la penetrazione delle organizzazioni criminali negli appalti della Tav, per quale motivo ne è stato concesso uno alla Pato Srl, società non munita neppure del certificato antimafia?