(Alinews) – Torino 26 mar – Oltre un miliardo in penali. È questa la cifra paventata dal commissario di governo e presidente della Cig Mario Virano che lo stato dovrebbe sborsare se decidesse di non fare più la Torino-Lione. Ma si tratta di una cifra completamente buttata lì. Tanto che Ltf ha messo in piedi un gruppo di lavoro per quantificare, in modo meno approssimativo, l’eventuale ammontare del danno da rifondere.
Su questa fantomatica penale si è giocata una parte dello scontro tra No Tav e fautori dell’opera all’indomani dell’affermazione elettorale del Movimento 5 stelle. È lo stesso Virano ad ammettere che si tratta di una ipotesi tutta da verificare. “C’è una convenzione internazionale, la convenzione di Vienna – spiega meglio il presidente della Cig – che fissa le condizioni a cui è possibile recedere in modo unilaterale da impegni presi attraverso trattati internazionali. Sono proprio queste che si stanno verificando. Perché mentre siamo certi che dal mancato rispetto del trattato italofrancese firmato il 30 gennaio del 2012 non possono derivare richieste di risarcimento, semplicemente perché non è ancora stata ratificato dal Parlamento, è sul trattato firmato il 21 gennaio del 2001, ratificato e operativo, che si concentrano le nostre preoccupazioni”.
Nelle opere pubbliche, le penali da pagare alle ditte in caso di interruzione dei lavori da parte del committente si aggirano solitamente intorno all’80 per cento del mancato guadagno, percentuale che deve essere quantificata dal vincitore dell’appalto all’interno dell’eventuale contenzioso legale. Visto che le ditte considerano come margine di utili una percentuale di circa il 20 per cento dell’ammontare dei lavori appaltati, per il cunicolo di Chiomonte a fronte di una cifra di 143 milioni di valore degli appalti, l’80 per cento degli utili si aggira sui 23 milioni. Una cifra che i No Tav considerano ridicola se paragonata ai costi da pagare per realizzare l’opera.
Ma Virano non teme la penale da pagare per il contratto firmato per il cunicolo italiano. “Il problema non sono le penali, ma i danni che potrebbero essere richiesti dallo stato francese in base al diritto internazionale. Senza contare quelli che potrebbero essere richiesti dall’Unione europea”.
Quali danni? “In Francia hanno già realizzato tre discenderie. Sono state pagate al 50 per cento dall’Unione europea e, per il resto, da Francia e Italia. Sono opere che sono state finanziate in vista dell’opera definitiva, non per essere scavate e poi chiuse: questo sarebbe già un danno. E poi, per realizzarle sono stati modificati piani regolatori; è stata modificata la viabilità; sono state concesse compensazioni. Tutti costi che potrebbero essere, appunto, addebitati all’Italia sulla base di una richiesta danni in base al diritto internazionale. Senza contare quello che potrebbe richiedere indietro l’Unione europea”.
Ma da dove arriva la cifra di un miliardo? “Più o meno è l’ammontare delle opere già realizzate in Maurienne, ma la cifra da pagare per l’Italia potrebbe arrivare anche a un miliardo e 400 milioni, cioè la metà dei 2 miliardi e 800mila che rappresentano il costo della tratta internazionale. L’Italia si trova così di fronte a questa decisione: spende 2,8 miliardi in 10 anni per un’opera che genera valore e crescita o butta via un miliardo e 400 milioni senza avere generato nulla”.
Ma è un’ipotesi che non è ancora suffragata da nessun elemento reale. “Ci sono casi di diritto internazionale, già maturati in Europa, che fanno pensare che questo possa essere lo scenario”.
Al di là delle ipotesi, però, il fatto che questo “scenario” sia preso seriamente in considerazione da Cig e Ltf è certamente il segno che i promotori dell’opera si preparano a dover rispondere, numeri alla mano a un’ipotesi di abbandono del Tav che potrebbe essere chiesta dai grillini e da Sel.
Numeri che potrebbero essere il piatto forte di quella audizione che Virano chiederà alle commissioni parlamentari competenti per la Torino-Lione non appena si saranno insediate. Il commissario ha bisogno di giocare d’anticipo per non avere intoppi. Entro l’estate l’Europa dovrà decidere l’assegnazione definitiva del 40 per cento del costo dell’opera ed entro lo stesso periodo dovrebbe essere ratificato il trattato internazionale per dare il via alle procedura per la costituzione del nuovo soggetto promotore. Se i dubbi prendono piede e se i tempi non vengono rispettati qui rischia di saltare tutto il cronoprogramma. E rischiano di saltare anche i finanziamenti europei.
Mb/Mb