L’estate di lotta che il coordinamento dei comitati No Tav aveva indetto lo scorso giugno si è conclusa con l’assemblea del 16 settembre, dopo tre mesi intensi, e l’assemblea ha condiviso un giudizio positivo su questa esperienza. Il campeggio Gravella di Chiomonte aveva cominciato ad essere attivo il 15 giugno, in una fase in cui il movimento emergeva da due mesi difficili. Gli espropri dell’11 aprile, che avevano sancito la lenta ma effettiva trasformazione del fortino militarizzato in un cantiere, avevano posto il problema delle strategie da adottare nella nuova fase, e il movimento aveva saputo, in quei due mesi, rispondere solo in parte.
Nella seconda metà di giugno gli studenti No Tav giunti da tutta Italia hanno ripreso l’azione diretta contro le recinzioni del fortino e le truppe di occupazione, scuotendo il movimento dal pericolo di un immobilismo di fatto, praticando uno scambio di idee e progetti anche sul piano strettamente studentesco: un piano che lega direttamente la questione degli investimenti nelle grandi opere con l’assenza di fondi e l’aumento dei tagli nei confronti dell’istruzione pubblica, cui fa da sfondo un continuo restringimento delle agibilità politiche all’interno e all’esterno degli istituti di formazione.
Al termine del campeggio studentesco, il 27 giugno, il movimento ha circondato il cantiere nel primo anniversario dell’invasione militare della valle, praticando il taglio delle reti e subendo il consueto attacco poliziesco con idranti e lacrimogeni. A luglio, dopo pochi giorni, centinaia di compagne e compagni del resto d’Italia e di vari paesi europei hanno ingrossato il campeggio fino a far raggiungere le ottocento presenze nei giorni tra il 20 e il 22. In quelle settimane, con l’estate di lotta che entrava nel vivo, la precisazione delle pratiche di autogestione collettiva (dai turni dei comitati in cucina fino alla pulizia dei bagni e l’organizzazione degli eventi, passando per la gestione del bar e dei concerti) ha accompagnato le passeggiate in Clarea, i saluti “rumorosi” alle forze d’occupazione presso gli alberghi di Cesana e Sestriere, e la prima invasione estiva di via dell’Avanà.
Tutt* in Clarea!
La sera del 21 luglio centinaia di No Tav si sono incamminati dal campeggio e da Giaglione in direzione cantiere, circondandolo e portando al suo rapido ed efficace danneggiamento: il muro è caduto in pezzi in diversi punti, decine di metri di rete sono stati tagliati, due New Jersey sono stati abbattuti. Alcuni compagni sono entrati nel perimetro, a dimostrazione che è già possibile fare in parte ciò che vorremmo fare tutti insieme, e in modo definitivo, il giorno della vittoria. La reazione della casta politica è stata scomposta, con dichiarazioni deliranti che descrivevano il campeggio Gravella come un “campo paramilitare” e invitavano il prefetto a disporne lo sgombero in seguito agli scontri. Ciò che ha infastidito di quella giornata, ben al di là del ferimento di un funzionario di polizia, è stato il carattere organizzato, di massa, ben coordinato ed efficace di quello che è stato probabilmente uno degli attacchi meglio riusciti al cantiere; il primo da quando il cantiere è diventato effettivamente tale.
Se il movimento ha dichiarato subito, serenamente, di non temere lo sgombero (infiniti sono i luoghi della valle dove possiamo organizzarci e da cui possiamo muoverci, quando e come vogliamo), prefetto e questore hanno preferito non seguire gli strateghi da bar di PD, PdL, IdV e Lega, ben sapendo (probabilmente anche su monito del ministro Cancellieri) che l’azione di forza sarebbe loro costata cara sul piano politico, più che al movimento sul piano repressivo. Frustrati e demoralizzati, i funzionari di ps hanno coordinato una delle più patetiche messinscene degli ultimi tempi: il 23 luglio, a Bussoleno, centinaia di No Tav sono stati fermati e identificati per impedire il blocco di un treno pieno di scorie nucleari che attraversava la valle diretto in Francia, e i poliziotti hanno dato la caccia ai No Tav anche a Borgone, con un atteggiamento arrogante, che si è spinto fino a minacce con armi da fuoco. Questi gesti hanno espresso tutta l’impotenza di un apparato militare che si è limitato a mimare l’attacco al campeggio, non avendo alle spalle istituzioni abbastanza forti da metterlo in pratica. Un centinaio di poliziotti, accompagnati da una ruspa e un idrante, si sono posizionati quella notte sul ponte della Centrale, ma sono tornati sui propri passi alcune ore dopo. Dietro l’esibizione di forza, si celava la fragilità politica del nostro avversario.
La risposta del movimento a queste provocazioni e a quelle della politica istituzionale (che con l’ausilio di sciacalli e sciacallini dei mezzi di (dis)informazione si sperticava nell’insulto sistematico del più esteso movimento popolare del paese) è stata riprendersi i sentieri della Val Clarea in massa, di giorno e a viso scoperto. Il 28 giugno migliaia di valsusini hanno percorso il tratto boschivo da Giaglione a Chiomonte nonostante i divieti della prefettura, passando per i sentieri più alti, e molti di loro erano gli stessi che avevano partecipato alla passeggiata notturna del 21, che avevano tagliato le reti e abbattuto i New Jersey con l’approvazione di tutto il movimento. Un valligiano portava in spalla la caricatura in gomma piuma di un poliziotto con bastone e manganello, con scritto sopra in modo eloquente: “Isoliamo i violenti”. Il giorno dopo La Stampa pubblicava la foto tagliata, in cui compariva la scritta ma non era visibile il poliziotto, a cui essa si riferiva, e la vendeva come espressione della presunta divisione incolmabile tra “valligiani” e “violenti”. Nell’approfondire il divario tra propaganda e realtà il fronte Sì Tav prepara, nella storia di questa lunga battaglia, il terreno della sua sconfitta.
Lotta vs militarizzazione
Passata la grande marcia popolare, le forze di polizia hanno tentato di strangolare il campeggio attraverso la militarizzazione della valle e la negazione di ogni agibilità politica contro l’alta velocità, dentro e fuori i paesi. Decine di posti di blocco venivano predisposti dai carabinieri a Susa, a Gravere, a Chiomonte, e a Exilles; chiunque fosse sospettato di essere No Tav, ma anche residenti e turisti, veniva fermato, perquisito, interrogato e identificato; chiunque avesse in auto qualcosa che potesse essere considerato “sospetto”, se straniero, veniva rispedito al paese d’origine per decreto di polizia. Una colonna di auto diretta in bassa valle veniva bloccata pericolosamente sui tornanti del belvedere di Susa, con automezzi dei carabinieri che tagliavano la strada alle macchine dei No Tav in corsa, al fine di impedire un’iniziativa ad Avigliana. Un centinaio di No Tav venivano circondati durante un semplice volantinaggio a Chiomonte, bloccati e tenuti in stato di fermo sostanziale per cinque ore. Nel frattempo dodici compagni venivano colpiti da misure cautelari per un nuovo processo, quello relativo agli scontri in Clarea dell’8 dicembre, con obblighi o divieti di dimora volti ad impedire la loro partecipazione alle iniziative in valle.
Per qualche giorno, il movimento ha accusato il colpo di questa militarizzazione completa, di questa chiusura di ogni spazio di opposizione all’alta velocità in alta valle. Poi l’assemblea ha precisato le strategie di reazione. Volantinaggi a tappeto sono stati organizzati nei mercati di Bussoleno, Condove, Exilles, Susa e Chiomonte; in occasione del fermo di tre auto No Tav, a Chiomonte, tutto il campeggio ha circondato i carabinieri che, dopo aver chiamato rinforzi, hanno battuto in ritirata tra i cori per la liberazione della valle; la sera stessa, a causa del fermo di due compagni romani, la stessa caserma cc di Susa è stata assediata per diverse ore, fino al loro rilascio. Lentamente, tutti i posti di blocco venivano assediati e circondati (non senza la solidarietà dei residenti, sempre più esausti per la tensione e la militarizzazione del territorio) e i carabinieri dovevano abbandonare le postazioni: è successo a Exilles, a Chiomonte, a Gravere.
L’obiettivo più importante era però, al di là della libertà di movimento, rompere il muro creato contro la nostra azione politica. Il campeggio ha allora adottato la strategia vincente della condivisione segreta delle iniziative, contando sul fattore sorpresa. L’esperimento di una passeggiata notturna, silenziosa e senza torce, dalla Ramats all’area archeologica ha inaugurato una serie di azioni analoghe, faticose ma importanti, volte a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che controllare il movimento No Tav è impossibile: battiture, filo spinato tagliato, spostamenti per i boschi in modo organizzato e imprevedibile, con la polizia regolarmente colta di sorpresa. Il passo successivo è stato passare all’azione anche contro le ditte del Consorzio Valsusa (il consorzio creato nei giorni dell’invasione militare, che dovrebbe portare avanti i lavori per il Tav), contro la Sitaf (società autostrade che fornisce agibilità ai mezzi delle ffoo e delle aziende del consorzio), contro Equitalia (a Susa) e contro gli operai stessi del cantiere, umiliati in quanto collaborazionisti con uova e secchi di vernice.
Queste iniziative hanno dato seguito alle campagne contro l’intero apparato Sì Tav in valle, decise dall’assemblea popolare lo scorso aprile, e in primavera realizzate quasi soltanto a livello informativo. L’occupazione della Geovalsusa a Torino, unendo compagni partiti da Torino e da Chiomonte, ha destato smarrimento tra gli Sherlock Holmes della questura, e lo stesso è avvenuto in occasione dell’apertura forzata dei caselli autostradali di Avigliana, per un’ora, dando un esempio di come i movimenti possono praticare la riappropriazione popolare dello spazio, del tempo e del denaro per tutte e tutti. Unico strumento possibile, ma inefficace, contro i No Tav, la repressione ha colpito ancora nella seconda metà di agosto: a decine di compagni sono stati notificati fogli di via dalla valle, e altrettanti No Tav trentini sono stati colpiti da denunce nell’ambito di un’inchiesta parallela (a uno di loro è stata inflitta la misura cautelare in carcere, ed è tuttora rinchiuso ad Alessandria).
Riprendersi la valle
Il 15 agosto, nella tradizionale notte dei fuochi in valle, quattro alti falò sono stati accesi intorno all’area militarizzata: a Chiomonte, su via Roma e alla Centrale, alla Ramats e sul ponte del torrente Clarea. Centinaia di persone hanno mostrato, in un clima di festa, la loro ostilità alle truppe di occupazione, che hanno bersagliato i No Tav con idranti e lacrimogeni prima in Clarea, poi alla Centrale. Purtroppo per loro, il vento ha loro riportato indietro tutto ciò che hanno lanciato, bagnandoli e intossicandoli: forse la notte prima, S. Lorenzo, qualcuno aveva espresso un desiderio contro di loro. Dopo aver affrontato la militarizzazione delle strade statali, e dopo aver riconquistato in notturna l’agibilità della Val Clarea, occorreva rivendicare la possibilità della mobilitazione anche di giorno. Tutti i giorni quindi, prima e dopo pranzo, gruppi di No Tav hanno raggiunto la Clarea da Chiomonte attraverso i sentieri, per sistemare il presidio No Tav a ridosso del cantiere e monitorare la situazione; e una manifestazione ha raggiunto il presidio di Giaglione, sotto minaccia di sgombero, per una merenda sinoira, percorrendo un lungo tratto di via dell’Avanà. Rispetto ai primi giorni di agosto, i rapporti di forza stavano decisamente cambiando direzione.
Il 29 agosto, in questo clima, si è aperto il raduno degli universitari No Tav per quattro giorni di “Università delle lotte”: dal rapporto tra media e movimenti alla crisi, passando per un confronto tra le esperienze studentesche e le occupazioni universitarie di tutto il paese, il campeggio è stato nuovamente punto di incontro di diverse esperienze di opposizione all’attuale modello sociale e di trasmissione dei saperi. Il movimento universitario ha anche organizzato una passeggiata notturna per il 31 agosto, la prima pubblica dopo quella del 21 luglio. Centinaia di compagni hanno raggiunto il cantiere da Chiomonte e da Giaglione, ma hanno trovato, stavolta, presidi di polizia a bloccare i sentieri in prossimità delle reti, nei pressi del torrente Clarea e in prossimità dell’area “delle vasche”. La polizia, convinta di dissuadere facilmente il movimento con questa ennesima dimostrazione muscolare, non aveva messo in conto la disponibilità dei No Tav a una resistenza concepita in tantissimi modi, ma mai come un pranzo di gala…
Tre ore di cammino per incontrarsi presso i Mulini superiori del Clarea, in alto, fuori dalla vista delle forze dell’ordine, protetti dal buio e dal bosco; una breve assemblea presso il ruscello, poi la discesa in centinaia, in fila indiana, per raggiungere – alle quattro del mattino – l’unico segmento di recinzioni che la questura aveva pensato di poter lasciare sguarnito: l’area archeologica. Ben presto New Jersey e cancello sono venuti giù, una voragine si è aperta nella parte del fortino presidiata dall’esercito, e la polizia ha risposto con idranti e lacrimogeni. Il movimento, che aveva fatto davvero di tutto per aggirare la polizia e non accettare il terreno dello scontro fisico – obiettivo della marcia erano le recinzioni, come sempre – si è trovato costretto ancora una volta ad affrontare l’aggressione della controparte con la resistenza. I carabinieri sono usciti allora dal varco della Centrale e hanno raggiunto il campeggio: prima hanno minacciato lo sgombero, poi hanno detto di voler aspettare il rientro dei compagni dalla Clarea per arrestarli, infine hanno battuto in ritirata e sono rientrati nelle loro gabbie… La confusione è grande nelle file nemiche.
Ritorno… al futuro!
Il primo settembre si è svolta, in un clima di grande serenità e soddisfazione, l’assemblea nazionale degli studenti universitari, che ha cercato di coordinare le proposte di mobilitazione contro l’austerity e la crisi, nella consapevolezza che, oggi, gli studenti sono nei fatti anche e soprattutto forza lavoro precaria, settore massificato della classe dei salariati su cui lucra, ad ogni livello, il partito trasversale degli affari che devasta la valle e governa l’Italia. Il giorno successivo ospiti del campeggio sono stati gli oppositori liguri al progetto del Terzo Valico, dopo che ad agosto il movimento aveva ospitato gli alessandrini e i comitati di Arquata Scrivia. Per la prima volta dopo anni, lotte popolari (e non semplicemente espressione di realtà politiche già organizzate, che pur svolgono un ruolo importante sui territori) si affermano contro le grandi opere anche fuori dalla Val di Susa, e il campeggio ha voluto dare la possibilità per un approfondimento delle strategie comuni.
Tra il 7 e il 10 settembre, nuovamente, gli studenti delle scuole superiori della valle e il Komitato Giovani No Tav hanno accolto i collettivi di molte città italiane per un’assemblea nazionale in vista del primo corteo studentesco, il 5 ottobre in tutte le città. È stata un’occasione per assediare ancora il cantiere, buttando giù ampie porzioni di muro in pieno giorno, nonostante le cariche della polizia fuori dalle recinzioni, e per entrare ancora una volta, a sorpresa, in via dell’Avanà. Le azioni degli studenti hanno preceduto di poco l’assemblea conclusiva del campeggio, il 16 settembre, che ha sancito la costruzione di un presidio permanente dopo lo smontaggio delle strutture, ma anche l’adesione del movimento all’importante manifestazione del 29 settembre, quando tutte e tutti accompagneremo Luca in Clarea: sarà la prima volta che tornerà sul luogo del tragico (ma per fortuna non letale) incidente dello scorso 27 febbraio. Sarà un modo – per usare le sue stesse parole – per chiudere una fase e guardare al futuro, ben sapendo che la valle potrà avere un futuro soltanto se sapremo fermare il Tav, un mostro i cui “difensori” hanno rischiato di non permettere a Luca di avere un futuro, nel senso più terribile di questa espressione.
I giorni della rabbia che seguirono la caduta di Luca mostrarono al governo e alla classe politica quale fosse la forza che il movimento aveva saputo accumulare in un anno di occupazione militare. Una forza che in gran parte, come è tipico della valle, si è accumulata nello sdegno e nell’orgoglio, nella reazione alle aggressioni di cui la valle è stata vittima in questi quindici mesi: l’invasione del 27 giugno 2011, gli arresti del 26 gennaio scorso, l’allargamento del cantiere il 27 febbraio. Con gli espropri dell’11 aprile, però, è iniziata una fase nuova: l’aggressione non arriva soltanto dalle statali e dall’autostrada, o quantomeno non esclusivamente da lì, e non porta soltanto le divise dell’esercito e della polizia. Oggi l’aggressione, l’occupazione e la devastazione hanno anche l’aspetto più subdolo delle trivelle e dei macchinari, e ai caschi della celere e dei carabinieri si affiancano i caschetti di lavoratori senza dignità e senza cuore, disposti a sottomettersi alla distruzione e al malaffare pur di intascare uno stipendio. A tutto questo il movimento deve saper essere abbastanza maturo da resistere, ben sapendo che sarà anche necessario contrastare ed attaccare i devastatori dove sono rinchiusi, blindati, fortificati, come abbiamo fatto quest’estate. Un’estate di lotta che ha sbloccato le energie del movimento; e in questa direzione, a partire dal ritorno di Luca, dobbiamo andare avanti.