Tav, l’Ue minaccia: “Col no pagherete”. Ma sono spiccioli
di Carlo Di Foggia | Il Fatto Quotidiano | 5 Febbraio 2019. Nello scontro interno al governo sul Tav basta poco per accendere le polemiche. Anche l’ennesimo avvertimento dell’Ue. Ieri Bruxelles ha infatti ribadito i suoi dubbi su un possibile stop deciso dall’Italia dopo la bocciatura dell’analisi costi-benefici voluta dal governo. Intercettato dai giornalisti, un portavoce della Commissione ha spiegato che “non possiamo escludere, se ci sono ritardi prolungati, di dover chiedere all’Italia i contributi già versati” per il Tav, oltre al “rischio che, se i fondi non sono impiegati, possano essere allocati ad altri progetti” Ue. Tanto è bastato a far partire un coro di critiche dall’opposizione. Il concetto non è una novità. Bruxelles lo ha già espresso almeno 5 volte dall’estate. Stando ai documenti ufficiali, però, non esistono automatismi: gli accordi bilaterali non prevedono alcuna clausola che compensi le spese in caso di stop.
Finora sono stati spesi 1,4 miliardi. Andare avanti costerebbe all’Italia almeno 3 miliardi, il 35% del costo del tunnel (8,6 miliardi, secondo il costruttore italo-francese Telt). Alla Francia spetta il 25%, mentre i fondi Ue coprono il 40%. Il 15 settembre scorso il coordinatore della Commissione per il corridoio est-ovest, Jan Brinkhorst, ha scritto al ministro dei Trasporti Danilo Toninelli e al suo omologo francese, Élisabeth Borne, avvisando che la sospensione del progetto avrebbe potuto portare alla “rescissione” degli accordi (il Grant agreement del 2014) “con totale o parziale recupero dei fondi già versati”. Per indurre l’Italia a non fermare l’opera, proponeva di alzare al 50% il contributo europeo. Nella lettera venivano stilate le cifre: nel 2007-2013 l’Ue ha versato, e i governi speso, 370 milioni; l’accordo del 2014 ne stanzia altri 813 fino al 2020 (362 per la Francia e 451 per l’Italia: di questi solo una parte è già arrivata). A Bruxelles la cifra che circola è di 120 milioni al 2018, ma Telt sostiene sia più alta.
Per il costruttore, ad oggi sono stati spesi – per studi, progetti e lavori – 700 milioni di contributi Ue, di cui poco meno della metà proveniente dagli stanziamenti post 2014. Non è un dettaglio secondario. Il Grant agreement del 2014 prevede “sanzioni” nel caso di comportamenti irregolari ma chiarisce che “nessuna delle parti è autorizzata a chiedere un risarcimento in caso di risoluzione dell’opera da parte di uno dei contraenti”. Bruxelles fa trapelare l’intenzione di riavere indietro parte dei fondi, ma c’è molto scetticismo sulla reale possibilità che – in caso di stop – si possa chiedere all’Italia di restituire la quota già spesa nel 2007-2013.
Precedenti legali non esistono e le norme escludono indennizzi. Discorso diverso per la quota versata dal 2014, ma dipende da quanto si è già speso. L’agreement prevedeva spese al 2018 per 461 milioni, ma il cronoprogramma dei lavori è andato a rilento. In un documento inviato al ministero a fine novembre, Telt ammetteva che le “penalità” per la rescissione dell’agreement non supererebbero gli 81 milioni. L’unica certezza è che quanto non speso andrà restituito. E – stando ai dati Telt – si tratta di oltre 400 milioni, solo in parte destinati a coprire i costi dell’Italia. La Francia potrebbe provare a chiedere indietro i 300 milioni spesi, ma gli accordi non lo prevedono.
L’altra certezza è che questi rischi non vengono conteggiati nell’analisi costi-benefici decisa dall’Italia, che considera i fondi Ue come normali costi, e tra questi annovera anche quelli per dismettere i cantieri e ammodernare la tratta storica (2 miliardi). “L’Ue stia tranquilla, gliela presenteremo a giorni”, ha replicato Toninelli. A Bruxelles non c’è però grande attesa: ieri hanno fatto sapere che già nel 2015 Italia e Francia gliene sottoposero una. In realtà, però, si trattava di uno studio commissionato dal costruttore Telt alla Bocconi. L’agreement – ha aggiunto il portavoce – si potrà ridiscutere entro giugno. Poi i fondi non spesi rischiano di essere dirottati altrove.