di Carlo Di Foggia | 14 Febbraio 2019 – Il Fatto Quotidiano – I due esperti che hanno lavorato all’analisi costi-benefici “Mesi di attacchi personali e i dati non interessano. L’opera è un dogma”
“Ci sono stati attacchi personali, anche pesanti: ‘Siete stati assunti senza gara’, ‘siete in conflitto di interessi’, ‘siete amici delle autostrade’… Ma quello che diciamo, lo diciamo da 20 anni. Nessuna influenza politica, il nostro lavoro si basa sui dati e da questa storia avremo solo da perderci”. Marco Ponti e Francesco Ramella sono appena usciti da un’audizione parlamentare trasformata in bolgia. La colpa? L’analisi costi-benefici che stronca il Tav, a cui hanno lavorato con gli esperti chiamati dal ministro Danilo Toninelli. Sottoposti al fuoco di fila dell’opposizione ma pure degli onorevoli leghisti con le stesse argomentazioni con cui da mesi la grande stampa li tiene sulla graticola. “Ce lo aspettavamo. L’idea che si debbano guardare anche i costi e non solo i benefici delle grandi opere sconvolge alcuni politici”, spiegano.
Il commissario di governo per il Tav Paolo Foietta parla di “analisi truffa”…
P: Non mi stupisco. Ha un suo interesse a farlo…
“Carta straccia”, “dati falsi”, “manipolato”: sono alcuni dei giudizi sul vostro lavoro. Vi dispiace?
R: Era prevedibile visti gli interessi in campo. I dati cozzano con il pensiero unico che regna, in Italia e in Europa, da 40 anni: bisogna spostare il traffico sulla ferrovia, a qualunque costo. Per questo la si sussidia e si iper-tassa la strada, ma i risultati non sono mai arrivati.
P: Dietro questo pensiero c’è la lobby ferroviaria, fortissima anche a Bruxelles. Una volta a pranzo il commissario Ue ai Trasporti Siim Kallas mi disse: ‘Di questo non si può parlare, altrimenti la lobby ferroviaria si incazza’.
Addirittura così forte?
P. Sono serbatoi di voti. Le ferrovie sono quasi sempre pubbliche, il legame con la politica e gli interessi privati enormi. Sa quanto acquistano dal settore privato? Solo in Italia quasi 5 miliardi l’anno. Ma i numeri non confortano i risultati: in media il ‘cambio modale’, cioè il trasferimento del traffico dalla strada alla ferrovia, porta un beneficio ambientale del 2-3%. C’è una forte componente ideologica: i dati non interessano.
Vi accusano di aver truccato i conti perché contate tra i costi il mancato gettito fiscale per lo Stato sulle minori accise pagate dai mezzi che si trasferiscono dalla strada alla ferrovia…
P. È una metodologia standard internazionale e risponde alla logica economica. Se a fianco a una strada tutta curve ne faccio una dritta, un automobilista si sposta, risparmia 1 litro di benzina e lo Stato perde 1 euro, l’effetto è nullo. Nel ‘cambio modale’ questo non c’è e devi calcolare il beneficio specifico degli utenti, basato sul loro surplus: i costi che sostengono, la loro convenienza ad andare in treno etc. C’è nel dossier, anche se non si vede esplicitamente.
R. I benefici ambientali sono calcolati nell’analisi, e sono bassissimi. È così da sempre. In questi anni la qualità dell’aria è migliorata in modo sensibile. E non perché c’è gente che usa meno l’auto o per il cambio modale ma per il miglioramento tecnologico.
Altra accusa: avete usato questo metodo per arrivare a un risultato preciso…
R. È lo stesso usato dall’Osservatorio presieduto da Foietta, che ora parla di truffa. Paolo Beria, nostro collega nella commissione, l’ha usato per la costi-benefici del piano per la mobilità del Comune di Milano con la giunta Pisapia e nessuno ha mai obiettato.
Uno dei sei commissari, Pierluigi Coppola, non ha però firmato l’analisi e ha contestato il metodo.
R. Coppola non ha lavorato alle analisi, né sul Terzo Valico né sul Tav, salvo poi contestarne il risultato. Nel primo caso ha spinto il ministero a pubblicare in una nota di sintesi uno scenario che non considerava le minori accise. L’analisi però restava negativa.
Vi contestano di essere manipolati dalla politica.
R. È esilarante. Tutti sanno che non abbiamo le stesse idee politiche di Toninelli. L’idea è che con il M5S non si debba lavorare, punto. Ma se un ministro ci chiede di fare quello che proponiamo da 20 anni, perché non dovremmo? Con questo incarico ci siamo bruciati qualsiasi possibilità di lavorare con i prossimi ministri. Ci rimetteremo. Dispiace poi che qualche collega metta in dubbio il nostro rigore scientifico, sapendo che non è così. L’accademia, poi, non è indipendente. Basta guardare i finanziamenti Ue per la ricerca sul “cambio modale”. Avremmo fatto l’analisi anche se ce l’avesse chiesta il predecessore di Toninelli, Delrio.
Perché non l’ha fatto?
P. Il suo atteggiamento è stato incredibile. Aveva promesso di farla, in accordo con il consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld e l’economista Roberto Perotti che si occupava anche di spending review. Renzi sosteneva che il Tav era inutile, io stesso ho lavorato a stilare parte del suo programma sui trasporti. Poi, la clamorosa retromarcia. Perotti, che stava lavorando con noi, si è dovuto dimettere, Gutgeld è stato spostato e Delrio ha varato un piano di infrastrutture da 130 miliardi senza uno straccio di analisi. Sulle grandi opere Renzi è diventato berlusconiano.
Sul Tav non avete “un pregiudizio ideologico”?
R. Nessuna ideologia. Sono i dati a mostrare che né i benefici economici né quelli ambientali giustificano l’opera. Se la costruisse un privato, che indennizzi chi è danneggiato, non saremmo contrari. Ma non c’è, perché è inutile.
Bruxelles spinge per il Tav.
P.So bene come funziona a Bruxelles. Gli Stati danno i soldi all’Ue e l’Ue, quando deve decidere su questi temi, chiede loro dove destinarli. È tutta politica. Un documento dello scorso anno della Corte dei conti europea spiega che le analisi costi-benefici su cui si basano le decisioni Ue non stanno in piedi: servono a giustificare decisioni insostenibili prese per ragioni politiche. E definisce come fallimentare il progetto di corridoi ferroviari europei ad alta velocità per i costi alti e gli scarsi benefici. I tecnici Ue il Tav l’hanno già bocciato.