Si è conclusa ieri una delle diverse tranches del processo per il volantinaggio alla ditta Itinera del 14.6.2013.
Ricordiamo i fatti: quel giorno qualche decina di studenti provenienti dal campeggio di Venaus si è incamminato alla volta della sede della ditta Itinera, coinvolta nei lavori del cantiere Tav, per un volantinaggio. Alcuni ragazzi sono entrati nel cortile della ditta dove hanno distribuito dei volantini ed hanno imbrattato alcuni mezzi pesanti. Dopo pochissimi minuti ne sono usciti e si sono avviati in corteo al centro del paese, dove hanno proseguito il volantinaggio, e successivamente alla stazione ferroviaria dove sono stati identificati dai Carabinieri di Susa.
La vicenda è poi approdata alle sedi giudiziarie: 13 minorenni sono stati imputati davanti al Tribunale per i Minorenni di Torino ed altri 30 (per lo più appena maggiorenni) sono stati imputati davanti al Tribunale Ordinario.
Le incolpazioni sono per tutti di imbrattamento, invasione ed occupazione di terreni, interruzione di servizio pubblico, violenza privata aggravata e resistenza aggravata a pubblico ufficiale.
Tra degli imputati maggiorenni vi sono due ricercatrici, rispettivamente dell’Università della Calabria e dell’Università Cà Foscari di Venezia, le quali sono state riprese (con video e fotografie varie) mentre, a margine dei manifestanti, sono intente ad osservare quanto in corso al fine di redigere due elaborati sui movimenti sociali e, specificatamente, sul Movimento No Tav.
Entrambe hanno scelto di definire il procedimento penale con il rito abbreviato che oggi è giunto a sentenza in un aula che, lungi dall’essere vuota come imporrebbe una camera di consiglio, era invece presidiata da 4 carabinieri, 4 agenti di scorta del P.M. e 2 funzionari della Digos che, armati sino ai denti, avevano evidentemente il compito di preservare il Giudice dalle possibili reazioni terroristiche dall’unica imputata presente: una minuta ricercatrice ed insegnante di storia basita da tante attenzioni.
La Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio delle due ricercatrici per concorso morale in tutti i reati contestati in ragione della loro presenza, per quanto defilata ed in posizione di osservazione.
Entrambe le imputate hanno prodotto al Giudice gli elaborati e le attestazioni delle rispettive Università che ne documentavano la ricerca in corso e la necessità di svolgerla “sul campo” e dunque in Valsusa, a contatto diretto con il Movimento ed osservandone personalmente le dinamiche e le varie iniziative.
Il P.M., dopo aver ottenuto conferme dalle Università circa la veridicità di quanto già documentato dalla difesa delle imputate, ne ha chiesto comunque la condanna a 6 mesi di reclusione per concorso morale nella commissione dei reati contestati, asserendo che la loro presenza avrebbe comunque “agevolato o rafforzato l’azione degli autori materiali” dei reati, quanto meno sotto il profilo del “dolo eventuale” che, in soldoni, significa che se anche le due ricercatrici non hanno materialmente commesso i reati, partecipando alla manifestazione (sia pure con l’esclusivo fine di documentarsi) hanno però accettato il rischio che la manifestazione potesse degenerare in atti di rilevanza penale, e quindi ne rispondono anche loro.
Il G.I.P., oggi, ne ha assolta una da tutti i reati contestati per non aver commesso il fatto, mentre ha condannato la seconda a 2 mesi di reclusione per i reati di invasione ed occupazione di terreni (il cortile dell’ Itinera) e per la violenza privata ai danni dell’autista di uno dei mezzi della ditta, che ha dovuto aspettare 10 minuti per poter entrare nel cortile a causa del momentaneo assembramento degli studenti davanti all’ingresso.
Va precisato che il materiale video e fotografico prodotto dalla Procura attestava che le due ricercatrici sono sempre state assieme a margine dei manifestanti e non si sono mai separate. Per quale motivo dunque una è stata assolta e l’altra condannata? Lo sapremo fra 30 giorni quando il Giudice depositerà le motivazioni della sentenza, ma per ora l’unica differenza che è dato cogliere tra le due posizioni è che la condannata, a differenza dell’assolta, nel redigere la tesi e descrivendo lo svolgimento e le tappe della manifestazione, ha utilizzato il plurale (il “noi”) che il P.M. ha spiegato doversi intendere come un “noi partecipativo”, chiaro indice dell’apporto morale, se non direttamente materiale, fornito dall’imputata alla commissione dei reati contestati, dimenticando forse che in certi contesti – certamente un po’ desueti, ricercati e formalistici quale è quello di una tesi di laurea – si è soliti usare il “noi narrativo” come mero registro espositivo.
Quello che è certo è che, ancora una volta, sono stati calpestati diritti di rilevanza costituzionale quali sono il diritto allo studio ed alla ricerca scientifica e che ogni volta che qualcuno cerca di fornire una narrazione che si discosti dai canoni e dagli stereotipi dettati da una concertata politica repressiva e denigratoria del Movimento No Tav, giornalista, scrittore, studente o ricercatore che sia, si ritrova a doverne rispondere davanti ad un Tribunale.
Un paese democratico e civile saprebbe reagire di conseguenza.