di Kristin Carls / Dario Iamele tratto da Infoaut.org_ L’articolo che segue è stato scritto per una rivista tedesca online. Risale all’estate trascorsa e non è quindi aggiornato agli accadimenti delle ultime settimane. Lo pubblichiamo però per la profondità delle analisi e l’utilità politica delle considerazioni, nell’ottica di una riflessione collettiva e continua.
Chiomonte, 3 luglio 2011, ore 10.00. La lunga stretta strada dell’abitato fra le vecchie case di pietra è strapiena e dalla stazione si aggiunge con ogni treno in arrivo un’altra piena di gente. Mentre nel villaggio ci si trattiene ancora in lunghe file per panini, formaggio montano e caffè, la testa del corteo dei dimostranti è già in marcia un bel po’ avanti giù nella valle. Dappertutto sventolano bandiere bianche con su un treno crociato in rosso e la scritta No TAV oppure Stop that Train.
Un treno attraverso la Val di Susa
Siamo in Val di Susa, un’ampia valle alpina non lontano ad ovest di Torino, uno dei corridoi centrali di traffico dall’ Italia verso la Francia, da Torino a Lyon e poi a Parigi. Dalla fine degli anni 1990 qui si fa resistenza per strada a una nuova tratta per treni ad alta velocità (TAV). Finora con successo: i lavori di costruzione non sono ancora cominciati pur dopo vent’anni buoni di programmazione. Ma quest’estate la cosa è ridiventata seria: dopo un ulteriore ultimatum dell’Unione Europea, peraltro già ripetuto più volte, i lavori dovevano infine cominciare entro il 30 giugno scorso. Finora è stato però effettivamente solo recintato solo il terreno per i lavori a uno dei tunnel centrali del tracciato. La UE minaccia di cancellare le proprie sovvenzioni. La tratta TAV appartiene a un progetto di sviluppo europeo delle comunicazioni, per il quale le rotte di trasporto in Europa dovrebbero svilupparsi lungo varie direttrici principali est-ovest e nord-sud(2). La linea Lyon-Torino appartiene al Corridoio 5, che deve estendersi dal Portogallo fino al confine ucraino, come pure all’asse nord-sud da Londra a Milano. È un progetto comune italo-francese. La citata richiesta EU è un argomento centrale dei sostenitori TAV. Effettivamente viene finanziato dalla EU però solo 27% dei lavori di costruzione e 50% delle indagini preliminari, complessivamente 672 milioni di euro dei costi complessivi previsti di 2,1 miliardi di euro. Il governo italiano deve invece contribuire 1,3 miliardi di euro dei costi per avere accesso a tale sovvenzione EU. Da dove possa provenire questo denaro è più incerto che mai in considerazione dell’attuale crisi del debito. Eppure tutti i grossi partiti sul versante italiano sostengono il progetto. Miglior esempio ne è il governo cittadino di centro-sinistra di Torino: appena eletto a inizio estate il sindaco Fassino si è pronunciato vigorosamente per la militarizzazione della ValSusa, per imporre i lavori contro la volontà della popolazione e di gran parte delle amministrazioni comunali in valle.
Chiomonte, 3 luglio 2011, ore 11.00. Le bandiere bianche No-TAV dominano in tutto il corteo dei dimostranti: come bandiere, foulard, indossati a mo’ di cappa, come trasparenti, affissi alle carrozzine dei bambini, alle biciclette o in groppa ai cani. Frammiste a manifesti fai-da-te che indicano la presenza di vari comuni e valli laterali, solo poche bandiere di partito (dei Verdi, della Sinistra critica o di Rifondazione Communista), alcune del sindacato metalmeccanico di sinistra FIOM e di varie rappresentanze sindacali di base, un furgone con altoparlanti dei centri sociali di Torino, parecchi gruppi musicali, e infine, sovrastante tutti quanti, la Samba-Band rosa e argento. Un vermone variopinto che, provenendo da varie direzioni, serpeggia per la valle riempiendo per kilometri la strada statale. Sessantamila persone, molte dalla valle stessa, molte di più da tutta Italia (specialmente dal nord ma non solo) e da altri paesi, soprattutto dalla Francia (3). Giovani e vecchi, famiglie e bambini, movimenti sociali contro la privatizzazione dell’approvigionamento idrico e il rientro nell’energia atomica e contro l’incombente riforma del diritto penale a beneficio di Berlusconi (4), autonomi dei centri sociali, gruppi ecclesiali, leghe ambientali, sindacali, qualche sindaco/a della valle – tutti in movimento multicolore browniano, senza singoli accorpamenti. Un raduno impressionante, specialmente qui, in mezzo ai monti.
Le prime proteste contro il TAV iniziarono verso metà degli anni 1990, minuscole e quasi invisibili – con la scrupolosa raccolta d’informazioni sugli effetti dei lavori di costruzione sulla salute della natura e delle persone in ValSusa. Questa produzione di un sapere collettivo riferito al territorio locale divenne la base per tutto il resto. Da un lato si è così creata la base per una critica fondata e proposte alternative di sviluppo e la si è resa accessibile a chiunque. D’altro canto, così facendo sono nate e si sono rassodate relazioni sociali fra varie iniziative dei cittadini e comitati di base della valle, un’ampia rete di „esperti“, sostenitori e interessati esterni (5).
La capacità di cooperazione dei più diversi coinvolti si basa in modo determinante su esperienze fatte in comune, cominciando dalle assemblee aperte del comitato di base nella valle, per lo più organizzato a livello di villaggio/ borgata, in cui le varie parti più o meno militanti del movimento di protesta collaborano da anni. Nell’evoluzione del movimento sono inoltre importanti i campi d’assedio/blocco. Da dodici anni si tengono capi estivi in vari luoghi della valle. Il grosso assedio/blocco decisivo prima della Maddalena è avvenuto nel 2005 a Venaus, dove dovevano originariamente iniziare i lavori per uno dei tunnel centrali della tratta TAV. Dopo l’occupazione del terreno per mesi, ci fu nella notte fra il 5 e il 6 dicembre un brutale sgombero a sorpresa da parte della polizia. Ma nel giro di pochi giorni il movimento No-TAV riuscì a mobilitare decine di migliaia di persone da tutta Italia e rioccupare il prato conteso l’8 dicembre, allorché la polizia venne effettivamente sgominata: gli attivisti riuscirono per sentieri montani o fra tronco e sasso ad aggirare e/o tirar giù gli sbarramenti. La programmazione per la tratta TAV venne di conseguenza rielaborata e l’imbocco del tunnel spostato a Chiomonte (11).
Resistenza offensiva
La decisione del comitato di base per una tal resistenza offensiva fu centrale per quel successo e il successivo sviluppo del movimento: ha finalmente fatto diventare la protesta No-TAV un movimento di massa, che ha una rilevante forza di mobilitazione anche fuori dalla valle. Qui ha un ruolo determinante la collaborazione continuativa fra le componenti autonome e militanti entro il comitato di base. Contemporaneamente la resistenza No-TAV a Venaus ha saputo annodare anche dinamiche del movimento anti-globalizzazione degli anni precedenti. Mentre s’intersecano vari temi, in pratica il movimento ha inaugurato un nuovo livello entrando in un concreto conflitto territoriale(12), e radicalizzandosi continuamente in tale contrasto. L’esperienza del successo materiale del blocco a Venaus, la riuscita controffensiva comune anche contro rabbiosi rentativi di repressione, hanno dato grande ispirazione al movimento. Accanto alla coscienza della propria forza, ha creato una pratica comune di resistenza e un momento di vivace cooperazione pratica: la generalizzazione di forme di resistenza offensiva si riconosce via via fino agli avvenimenti di quest’estate.
Blocchi riusciti, una cooperazione funzionante di persone e gruppi diversi, nonché la generalizzazione e moltiplicazione di pratiche di resistenza fanno finora la forza del movimento No-TAV. Ancora l’anno scorso si sono potute fermare indagini preliminari e sondaggi del terreno in vari segmenti della tratta prevista. Tuttavia dopo Venaus è aumentata la militarizzazione della valle. Anche i metodi repressivi si sono evoluti. La “militarizzazione“ riguarda soprattutto i controlli inaspriti in valle (controlli stradali, fogli di via / espulsioni, „giustificazioni di transito“ per aree vietate e loro concessione selettiva, etc.). Attualmente alla Maddalena è impiegato direttamente l’esercito per la „messa in sicurezza del terreno“ e si teme una dichiarazione a zona militare per tutta la zona, che avrebbe soprattutto per conseguenza inasprimenti penali in caso di eventuali arresti.
Libera Repubblica della Maddalena, 27 giugno 2011, al crepuscolo. Nel campo prevale un febbrile umore di abbandono. Ovunque per aria incombono gas lacrimogeni. Gli attivisti corrono nel bosco e su per i monti, strappati al sonno, mezzo accecati e col respiro affannoso. In queste condizioni una difesa del campo è impossibile. Dopo qualche ora di resistenza la libera Repubblica della Maddalena viene sgombrata dalla polizia e poi occupata dai militari. Le tende abbandonate vengono distrutte, lordate di escrementi e di piscio. Dove il terreno lo permette, vengono erette recinzioni alte metri, conficcate ben giù per terra e sovrastate da filo spinato. Ma il movimento No-TAV non si lascia scacciare così facilmente. Neanche una settimana dopo, la domenica 3 luglio 2011, comincia un “assedio” del terreno. Inizialmente si tratta di una manifestazione con tre cortei, che devono serrare a tenaglia da varie direzioni la fortezza poliziesca e militare alla Maddalena. Obiettivo della giornata non è una rioccupazione ma „solo“ l’assedio citato. le condizioni sono altre dal 2005 a Venaus, il terreno e le armi impiegate non permettono un attacco frontale alla Maddalena. Dietro le alte recinzioni fra fiume e monte, poliziotti e militari se ne stanno come in una piccola fortezza, che ha relativamente poche vie d’accesso e perciò è ben difficilmente espugnabile. A fronte di tale situazione fattuale ogni corteo ha una sua strategia e un compito. Questa molteplicità di pratiche è un esplicito programma. Il flusso maggiore va alla centrale idroelettrica e quindi al principale ingresso (e unico stradale) per la Maddalena, dove protesta ad alta voce ma senza venire alle mani. Una seconda parte procede per una strada bianca da dietro verso la baita della ValClarea, per rioccuparla. La baita si trova a pochi passi dalle reti che recingono il posto sotto l’autostrada previsto per lo scavo dei tunnel. La terza ala infine va da sopra per ripidi sentieri montani nel bosco giù fin proprio alla zona archeologica dietro la Maddalena, dove deve scuotere la cinta per dare enfasi all’assedio. A partire dalle 11.00 circa piove gas lacrimogeno, dapprima sui dimostranti alle reti, alla baita e nel bosco, ma ben presto anche sul braccio principale dei manifestanti alla centrale. Ma dopo l’esperienza ancor fresca dello sgombero una gran parte dei dimostranti è munita di maschere antigas, occhiali protettivi, elmetti e bottiglie d’acqua e Malox, un farmaco alcalino contro il brucior di stomaco, che serve anche per gli occhi irritati dal gas lacrimogeno. Chi non ha con sé del Malox viene ancora rifornito alla svelta per strada di limoni tagliati da un gruppo di anziane valsusine – ma questi si dimostrano meno efficaci contro il tipo di gas impiegato oggi. Comunque in tal modo le prime file, continuamente rinnovate, tenere sorprendentemente fino alle 17.00 circa. E già fin dall’inizio la baita viene riconquistata. Ma l’impeto della polizia è enorme. Vengono sparati per ore quantità folli di lacrimogeni. Chi è senza maschera, è impotente al confronto. Sui sentieri montani domina continuamente una calca tumultuosa per arrivare all’aria pura. Invece anche la Samba-Band arriva faticosamente ad attraversare il bosco e la pioggia di lacrimogeni con le sue grida d’incitazione ma anche di scherno, e con i suoi ingombranti tamburi fino alla baita e brevemente dietro le reti, per infiammare musicalmente gli e le assedianti. Inoltre il lacrimogeno consueto è sostituito da gas CS, arma chimica proibita per impieghi militari ai sensi della Convenzione sulle Armi da guerra di Ginevra – eppure è proprio quello che spara la polizia! E dritto sulle persone, anziché “solo” per aria. Da un ponte autostradale occupato dalla polizia vengono buttate giù pietre sui dimostranti. Chiaramaente, ne volano anche in senso inverso, ma da sotto in su, ed è ben difficile tirarne fin sul ponte o oltre l’alta cinta. E anche gli idranti non spruzzano solo acqua, ma anche lì qualche sostanza chimica irritante per la pelle, che provoca immediato prurito e bruciore (13).
Il giorno dopo la stampa è piena dello sdegno contro i “cattivi Black Block“, che la ValSusa avrebbe disseminato. Al contrario la polizia dieci anni dopo Genova avrebbe imparato a praticare ora con successo la de-escalation, grazie all’impiego nonviolento di gas lacrimogeni. Occhi e vie respiratorie che bruciano, danni alla salute per il gas CS anche per parecchi anni, e perfino ferite da cartucce di lacrimogeni sviate, tutto sembra meno spettacolare che teste manganellate dalla polizia. Invece i „Black Block“ avrebbero perfidamente pianificato il loro assalto violento, armati impeccabilmente di maschere antigas e occhiali protettivi, e con una raffinata tattica di guerriglia consistente nell’attuare attacchi-lampo a gruppetti contro le reti ritirandosi poi rapidamente nel bosco. Che delle persone, molte e diverse, abbiano semplicemente tentato di difendersi dai prevedibili attacchi a suon di lacrimogeni della polizia, per poter comunque manifestare il loro dissenso come e dove vogliano, non viene raccontato.
Nonostante questi echi negativi della stampa e dei relativi tentativi insinuanti di spaccatura, il movimento resta compatto. A una conferenza stampa il giorno dopo, nessuno prende pubblicamente le distanze dai tentativi di assedio offensivo – anche se internamente ci sono opinioni differenti e anche critiche.
Solo pochi giorni dopo ha luogo a Torino una fiaccolata, per dimostrare anche qui contro il TAV e la violenza della polizia. Questa nuova dimostrazione con quasi 25.000 partecipanti è un segno importante perché per la prima volta sfilano anche molti torinesi e non soprattutto valsusini a portare la resistenza per le strade. Ma un’altra risposta alla repressione è forse ancor più indicativa: „Siamo tutti Black Block“ è il nuovo slogan, adottato soprattutto da abitanti della valle di ogni sensibilità ed età. Effettivamente i/le dimostranti “armati/e” di maschere antigas che hanno sbatacchiato per ore le reti, erano per parte non trascurabile „normalissimi/e cittadini/e“ della valle o di qualche altra parte. Più tardi non distante dalla centrale idroelettrica viene costruito un nuovo campo e comincia un assedio permanente. Ci sono sempre di nuovo piccole azioni di disturbo, in cui si scuotono le reti. Si picchia con sassi sui guardrail della strada, il che causa già solo con poche persone un gran fracasso tambureggiante assordante. Ma la polizia è facilmente irritabile e continua a grandinarle di gas lacrimogeno anche in risposta a tali concerti. Perfino l’area tende non viene risparmiata. Nonostante tutta l’unità e risolutezza dimostrate, il movimento in tale situazione rischia di arrivare a un punto morto. È impossibile vincere la lotta designata da politica e polizia per via militare.
Perciò sembra necessario diversificare di nuovo la resistenza, e cioè anche in senso spaziale, lontano dalla Maddalena come punto di cristallizzazione. Contemporaneamente ha bisogno di nuove idee per nuove forme efficaci di resistenza. Lo scontro continuo con le barrcate della polizia da un lato è sì importante per mantenere la tensione ed evidenziare che una fase costruttiva di dieci-quindici anni assicurata militarmente diventerebbe molto cara; ma d’altra parte l’impotenza provata produce frustrazione. E non può neppure suscitare per sempre la necessaria energia. In questa situazione s’ingrandiscono inoltre le tensioni interne fra parti de movimento più o meno resistenti con modalità offensiva. Gli uni criticano le „insensate e violente scaramucce” con la polizia, gli altri la „ingenua credenza“ di fermare il TAV solo agitando le bandiere e con cori verbali. La questione su come poter continuare efficacemete a contrastare il TAV e il sistema di tali grandi opere, è aperta. Una strategia potrebbe essere causare i massimi costi economici, cioè non solo mediante un’impegnativa e costosa garanzia poliziesca e militare dei lavori, pagata dallo stato, bensì aggredendo direttamente le imprese coinvolte. Con un subvertising – cioè una pubblicità a rovescio, negativa, contro le aziende e i finanzieri coinvolti –, l’organzzare le maestranze per lo più precarie delle imprese, blocchi delle vie di trasporto in valle e attorno a Torino sono alcune fra le idee discusse. Trovare vie per rendere efficace la resistenza – ecco la sfida centrale dei prossimi mesi. Si fanno già i primi passettini in tale direzione, per esempio con un blocco del TGV (il rapido francese) in una stazione della valle. E anche alla Maddalena ci sono di tanto in tanto effimeri successi. Come l’essere riusciti attivisti a fine agosto a raggiungere per la prima volta l’intrno del territorio militarmente occupato per sentierini fra i ripidi vigneti e lì bloccare per un po’ la strada interna d’accesso.
Al di là dei confini
Un ulteriore punto importante è la messa in rete con altri movimenti sociali. Qui il movimento No-TAV nella sua storia quasi ventennale ha fatto un bel po’ di strada. Esportata dalla valle fu per esempio già nel 2007 la resistenza relativa alle proteste contro una nuova grossa base militare USA in Veneto e all’intensiva cooperazione con la campagna locale „No Dal Molin“ (14). In un momento di fiacca dei movimenti sociali in Italia, la costruzione mirata di tale cooperazione era necessaria per la sopravvivenza. Oggi ci sono segni di nuovo rafforzamento delle proteste sociali in Italia. Per i No-TAV è un a sfida lo stabilire contatti con questi movimenti ancora decisamente diffusi. Ciò vale soprattutto per un segmento del movimento descrivibile come variante italiana del movimento degli indignados. Vi appartiene fra gli altri il Popolo viola, un raggruppamento critico dei partiti e specialmente anti-berlusconiano basato soprattutto su reti sociali attive in Internet, influenzato tuttavia sub liminalmente dal partito „Italia dei Valori“ di Di Pietro. A questa costellazione si possono inoltre ascrivere le già citate mobilitazioni per i referenda sull’acqua, l’energia atomica e il diritto penale, nonché una rete di „Donne entrüsteten contro Berlusconi“, che a febbraio hanno organizzato in molte città italiane grandi dimostrazioni col motto „se non ora, quando“. Inoltre nell’attaule scenario politico italiano e nelle stesse proteste No-TAV sono importanti attivisti di nuovi partitei frazionari di sinistra, in parte decisamente populisti (fra gli altri del „Movimento Cinque Stelle“ che gravita attorno al comico Beppe Grillo e dei scissionisti di Rifondazione Comunista “SinistraEcologiaLibertà“ di Nichi Vendola).
Alla manifestazione del 3 luglio tutte queste correnti erano chiaramente visibili, e particolarmente grandi le trasversalità tematiche e personali con i movimenti referendari. Entro il movimento No-TAV sussiste la speranza, di ottenere ancora più vigore e ambito di risonanza a livello nazionale come parte di un movimento più ampio, suscettibile di ulteriore crescita in tempi di crisi economica e di programmi di rigore. Tuttavia questo funzionerà solo a patto che i No-TAV riescano effettivamente a sviluppare nuov pratiche di resistenza localmente. Resta inoltre da vedersi che cosa porterà l’autunno in considerazione delle pesanti manovre di risparmio attualmente propugnate dal governo (15). Il No-TAV è diventato un punto centrale di cristallizzazione del movimento socialer nell’Italia d’oggi.
Genova, 23 luglio 2011. Dieci anni dopo l’assassinio di Carlo Giuliani si tiene la manifestazione commemorativa del giorno della sua morte da parte del movimento No-TAV: un vasto blocco con le tipiche bandiere bianche, parecchi valsusini, ma soprattutto molti partecipanti che vi si aggregano spontaneamente. Il giorno dopo i genitori di Carlo sono ospiti del campo alla Maddalena.
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