da controlacrisi – Luca Anselmo, membro del Comitato No Tav di Bussoleno. Il racconto del potere sulla Tav nei giorni scorsi ha inventato il mito dell’opera irreversibile. Come stanno veramente le cose?
Non è la prima volta che tirano fuori questo termine. Qualcuno aveva già detto in passato che l’obiettivo era di rendere l’opera irreversibile. Ora ci hanno puntato tutto con tanto di servizi televisivi. Alla fine la talpa non è partita,ma questo nessuno lo dice; e a noi interessa relativamente. Loro giocano sul fatto che quello non è il tunnel vero ma quello del sondaggio per conoscere come è fatta la montagna. Per lo scavo centrale non hanno minimamente iniziato. In questo carotaggio dovrebbero però individuare l’amianto. I campionamenti che faranno, però, sono pochissimi e distanti tra loro. Quindi l’amianto potrebbero far finta anche di non averlo trovato. Noi sappiamo che c’è perché ci sono studi già fatti. Intanto, è stata già segnalata la moria di pesci per il percolamento di acque inquinate. Dovrebbero fare anche i rilievi sulla solidità della montagne, perché qui è pieno di frane e le montagne sono in continuo movimento. L’impressione che abbiamo noi è che questi problemi non è che se li stiano ponendo più di tanto. Per adesso, la Tav è solo una grande macchina che fa soldi.
L’idea del bene comune e dell’allocazione delle risorse finanziarie in un periodo di crisi è un tema che avete sollevato voi e che oggi è diventato patrimonio del movimento. Come state vivendo questo fatto?
Lo viviamo con orgoglio. Ci siamo impegnati tanto. Veniamo da anni difficili in cui non riuscivamo nemmeno ad uscire sui giornali fino a quando abbiamo deciso di insistere parecchio a livello mediatico. Siamo riusciti a dimostrare un dissenso sui beni comuni e sull’impiego delle risorse finanziare. Quando riesci a dimostrare che una popolazione intera può non mollare nonostante la repressione vuol dire che ci sono delle ragioni forti dalla tua parte. Che poi sono state colte dal movimento nazionale. E poi vedi che il movimento per l’abitare si mobilita su quei temi, o il sindaco dell’Aquila che chiede un incontro al presidente della Comunità montana per discutere proprio di come e per cosa vengono allocate le risorse delle grandi opere. Ma non finisce qui perché c’è ancora troppa ignoranza da parte della gente costretta a ingurgitare chili di propaganda. Loro possono contare su una macchina mediatica potente ma noi abbiamo lo slogan giusto, ‘sarà dura’.
E la vostra idea di bene comune?
In Val di Susa la questione dei beni comuni la intendiamo innanzitutto per quello che siamo riusciti a costruire ovvero un modello di società differente che si basa su solidarietà e fiducia reciproca. Come altri abbiamo subito un accanimento pazzesco. Ma questo ci ha unito. La strategia del potere è stata completamente sbagliata. Loro in mano c’hanno lo strumento della magistratura, ma l’idea giusta è stata quello di trasformarlo in un campo politico di lotta. Di sicuro, qui in valle qualcosa di diverso c’è. Ed è una contaminazione che riusciamo a far correre verso tutto il resto d’Italia, Il messaggio arriva, c’è addirittura gente che si trasferisce a viene a vivere qui per una esperienza diversa. Il primo bene comune che abbiamo costruito è stato quello della solidarietà. E’ cresciuta perfino l’attenzione al tema del lavoro e della salute. Non passa più lo slogan che va bene qualsiasi lavoro purché sia lavoro. E tutti insieme si cercano soluzioni alternative. E in questa direzione dei beni comuni spingiamo tutti molto.
Il movimento pare incastrato in un perimetro fatto da una parte da una solida piattaforma sociale ma, dall’altra, da una eccessiva autoreferenzialità delle singole situazioni di lotta.
La mia esperienza parte con la politica all’interno di un comitato che nasce nel 2005. Ho cercato di cogliere le esperienze che mi facevano crescere. L’autorappresentazione è un fattore ricorrente nei movimenti. I movimenti come il No-TAv sono fatti da persone. Questo è un elemento importante per valutare la situazione reale. Quello che è certo da noi, però, è che viene dato poco spazio all’autoreferenzialità. In alcune battaglie siamo stati quelli che abbiamo cercato di spingere verso il superamento delle contraddizioni e di fare delle scelte in modo netto. No forzature, per carità, ma l’accompagnamento verso una soluzione positiva.
Cosa hai visto, invece, di positivo in questo movimento del “19o”?
In Italia c’è una rabbia sociale assolutamente sana. E da quel che ho visto in televisione a Roma il 19 sembrava una manifestazione valsusina con una determinazione unica e una composizione varia. Mi è sembrato quasi che il No Tav abbia esportato una metodologia di lotta in piazza, che ci fa piacere. Abbiamo offerto i nostri sentieri montani a Roma. E nel sentiero conta l’arrivare superando via gli ostacoli con calma e determinazione. Sembra quindi di respirare qui la spinta nuova per andare avanti.
Il rapporto con il Prc?
Nel comitato di Bussoleno di cui faccio parte Rifondazione c’è sempre stata. Le ultime vicissitudini da Bertinotti in poi mi hanno portato a percorrere strade parallele. Sicuramente il fatto di parlarsi tanto aiuta a trovare posizioni condivise. E quindi non vedo grossi problemi in questo senso. Non ho partecipato al congresso ma ho al mio fianco compagni di Rifondazione comunista. Dal punto di vista ideologico condividiamo pressoché tutto ma gli aspetti politici ed elettorali li lasciamo un po’ da parte.