(di Sguardi sui generis)Sono stati scritti -dai media- diversi articoli sulle donne del movimento, di uno di questi si parla anche nelle interviste con l’esplicita intenzione di rispedire al mittente le insensate critiche e i giudizi -altrettanto assurdi- che il giornalista crede di poter rivolgere alla parte femminile del movimento.
Sarebbe senz’altro più rassicurante se le donne del movimento rispondessero alla visione stereotipata di questi personaggi che le classificano solo in base all’equazione bellezza=sicura bontà d’animo e mitezza, oppure che vorrebbero ritrarle tutte come amabili signore intente a preparare il tè e a imbottire panini mentre gli uomini fanno il “lavoro sporco”. Niente di più distante dalla realtà di questa visione che vorrebbe schiacciare la componente femminile di questa lotta, su un’unica, riduttiva, dimensione. Le donne della Valsusa sono per noi un grande esempio proprio perchè rifiutano quest’alternativa forzata, retaggio del sistema patriarcale. O angeli del focolare o professioniste degli scontri, cattive ragazze, black bloc…tanto per citare solo alcune delle espressioni spesso usate dalla stampa. Nella vita reale ognuna di noi ricopre -spesso in maniera sfaccettata- ciascuno di questi ruoli ed è proprio questa la nostra forza. Le donne della Valsusa preparano il tè, vanno alle reti, bloccano l’autostrada con i loro corpi e si incatenano alle recinzioni come Marisa ed è proprio attraverso questi processi che una collettività si soggettivizza e rivede anche gli stereotipi collegati ai generi, come ci ricorda sempre Ermelinda nella sua intervista.
Quella valsusina è una comunità che nasce dalla lotta: che struttura -a partire dalla centralità dell’opposizione e da una messa in discussione dell’esistente, del capitalismo- differenti rapporti tra gli individui, tra i generi, tra le generazioni…
E allora c’è Martina che nasce NO TAV e che non ha mai concepito questa battaglia come esclusivamente territoriale ma come la costruzione, a partire da un “NO”, di un’alternativa all’esistente.
Così come c’è Rita che ha fatto della lotta il centro degli ultimi vent’anni della sua vita e Luana che, nella sua intervista, sottolinea la necessità, imprescindibile, di rivedere le priorità delle società in cui viviamo e i modelli di sviluppo che ci vengono imposti e che non sono a misura delle persone.
I servizi per la collettività, il welfare, vengono sacrificati per finanziare le grandi opere e in questo caso per mantenere i costi esorbitanti dell’occupazione militare di un territorio visto che quest’opera vede il netto rifiuto della popolazione. Si tratta, di fatto, di una rapina di denaro pubblico che viene estorto per far circolare denaro tra le ditte appaltatrici e tra i pochi soggetti che da questo business hanno da guadagnarci, a discapito di tutti gli altri e di tutte le altre.
Le conseguenze sono disastrose e l’impoverimento di sempre maggiori fasce di popolazione è sotto gli occhi di tutti, si vedano gli operatori sociali in questo momento in mobilitazione nella città di Torino, dipendenti di cooperative alle quali il comune non versa le fatture per i servizi che ha appaltato loro perchè con quel denaro si sceglie coscientemente di finanziare una grande opera inutile.
Ma a tutto questo si contrappone il protagonismo di una valle: uomini e donne, che hanno scelto di resistere, e insieme a loro tutti e tutte coloro che non vogliono accettare un’imposizione di una violenza simile ma vogliono essere protagonisti del proprio presente e futuro!
E proprio delle donne NO TAV volevamo raccontarvi noi oggi, di quelle partigiane della terra e del futuro come recitava lo striscione di apertura del corteo per l’8 marzo che lottano e non si arrendono!
Buon 25 aprile! Ora e sempre Resistenza!