(di Riccardo Paternò )In questi giorni ho fatto un giochetto con me stesso, mi sono detto vediamo se riesco a farmi convincere della bontà della scelta Tav. Ho ignorato le opinioni contrarie e dato ascolto ai pareri di persone intelligenti a sostegno del treno. Tra gli altri ho ascoltato Monti e Napolitano, ho letto Scalfari e ho sentito Passera, ma niente da fare. Quell’unico argomento della modernità, del rimanere agganciati all’Europa, è fiacco, non mi è bastato. Forse perché dipende da come declini l’idea di modernità (e di Europa) e un treno super veloce è senz’altro moderno ma non è lamodernità. Che ha più a che fare con la giustizia sociale e con la qualità della vita. Con asili nido e trasporti funzionanti e a portata di stipendio. Con la parità dei sessi e opportunità per tutti e non solo per alcuni. Che non si muoia sul lavoro o nell’atrio di un ospedale in attesa che qualcuno ti consideri. Una volta si sarebbe detto che nessuno più muoia di fame o di vaiolo. Beh, non siamo andati molto più in là.
Ho fatto la linea Torino Parigi molte volte e mi sono ritrovato ad essere insofferente della lentezza del tratto fino a Lione così come poi godevo della seconda metà del viaggio quando il treno finalmente cominciava a filare. Ma questo vuol semplicemente dire che la velocità è comoda non che è moderna. E comunque basterebbe qualche chilometro orario in più, qualche modernizzazione appunto. Non è che bisogna sempre correre. Il teletrasporto, quello si che sarebbe moderno.
Le Grandi opere hanno il loro fascino, sono sfavillanti e possono anche inorgoglire ma sono un po’ come la parata del 4 luglio. È consolante e ti fa dimenticare per un momento i problemi ma se nei vicoli dietro l’angolo si vive da cani allora è solo una coperta luccicante con cui copri tutto il resto. Quindi, tanta energia e risolutezza, da cittadino italiano – anzi, europeo – preferirei vederla nelle battaglie di civiltà di cui sopra, nelle Piccole opere che fanno bene alla vita di tutti i giorni. Non dico che non possano coesistere o che una Tav sia sbagliata in assoluto, ma prima o poi vorrei vedere un’inversione delle priorità.
Se invece fossi uno della Valsusa, allora penso proprio che la Tav non la vorrei. Non vorrei un treno super veloce che mi sfreccia sotto gli occhi e sotto le montagne e non vorrei un mega cantiere aperto per i prossimi non si sa quanti anni. Non vorrei stare a vedere chi aveva ragione e chi torto perché di queste discussioni nella mia vita ne avrei già sentite a bizzeffe e probabilmente non me ne ricorderei neanche una in cui le cose siano andate nel migliore dei modi. Al contrario sarei pieno di ricordi di disastri e di furbate, di malafede e di ipocrisia. E non ci terrei per niente che il prossimo episodio della saga si compisse a casa mia. Non starei neanche a chiedermi cosa è moderno e cosa non lo è, o se per il fatto di rifiutarmi dovessi per questo considerarmi un troglodita egoista. Non lo farei perché a pelle saprei già che il Tav è moderno quanto può esserlo il Ponte di Messina. E non mi fregherebbe niente che un container viaggi dal Portogallo all’Ucraina in meno di una settimana. Principalmente però, non lo vorrei, perché di questa gente che mi viene a parlare dei progetti che altri hanno deciso di intraprendere sulla mia terra, proprio non mi fiderei. Non mi fiderei della storia di questo paese e non mi fiderei del suo presente. E mi parrebbe addirittura ridicolo che qualcuno mi venisse a dire, vedrai, stavolta faremo le cose per bene. Perché gli risponderei che le prove per essere un paese civile, senza malaffare e furbetti, le andassero a fare da un’altra parte e che si ripresentassero a collaudo avvenuto.
Se fossi della val di Susa vorrei essere ascoltato con serietà e non vorrei sentirmi un animale braccato e costretto in un angolo.