di Nicoletta Dosio – Sabato a Ravenna, alla manifestazione contro la CMC, ovvero la Cooperativa Muratori e Cementisti, il colosso che sta devastando mezzo mondo con la costruzione di tunnel, muraglie, basi militari, ponti e viadotti, eravamo alcune migliaia: la Valle di Susa che lotta contro il TAV e la devastazione territoriale; una rappresentanza del NO Dal Molin, l’aeroporto militare statunitense già in costruzione a Vicenza; una miriade di comitati in difesa della salute e dell’ambiente; giovani e meno giovani, alcuni volti ritrovati dal ’68 e dalle lotte degli anni settanta contro le devastazioni ambientali e il lavoro degradato e mercificato.
Ci ha accolti una città blindata: il battage pubblicitario per impedire la manifestazione durava da tempo. Già in autostrada ci siamo visti superare dai mezzi militari che ormai conosciamo bene; sorvegliato l’ingresso in città; il tragitto verso la stazione, luogo di partenza del corteo, piantonato tra viali e strade stranamente senza traffico (scopriamo poi che i mezzi pubblici sono stati fermati e le scuole chiuse alle 11.00 , per evitare incontri inopportuni con i manifestanti). Chi entra in stazione in cerca di un bagno, li trova tutti chiusi, “perché arrivano i NO TAV” ci spiega un ferroviere. Anche agli esercizi commerciali è stato suggerito di abbassare le serrande, chi non ha obbedito fa affari d’oro, infatti nei bar c’è il pienone.
La manifestazione si avvia tra due ali di autoblindo e uomini in assetto antisommossa.
Sbarrato l’accesso al centro storico, procediamo lungo i quartieri di periferia.
Le vie, dapprima deserte, a poco a poco si animano; si aprono finestre e balconi, si affacciano donne e anziani, cui vengono offerte simbolicamente bustine di semi “perché vogliamo una terra viva e non un deserto e un lavoro dignitoso e non indecente”; la diffidenza iniziale si stempera in curiosità; qualcuno scende, lungo la strada biciclette e signori col cagnolino si uniscono alla manifestazione. Lo spezzone della Valle è numeroso, procede con striscioni e bandiere. In testa al corteo vengono portate le gigantografie fotografiche della distruzione in Clarea.
Arriviamo alla CMC. Alti muri, cancelli sbarrati dietro i quali stanno schierate le “forze dell’ordine”, edifici chiusi, piazzali deserti.Unica presenza umana un vecchio gatto che se ne sta ingobbito e malinconico, indifferente a discorsi e musica, come perso dietro un suo sogno.
Dal megafono si susseguono gli interventi, vengono denunciate le malefatte della CMC nel mondo, a partire dalla Valle di Susa per arrivare al muro della vergogna che imprigiona i territori palestinesi della striscia di Gaza: quanto tempo è passato, quale mutamento transgenico da quel 7 marzo 1901, in cui trentacinque “operai, muratori e manuali del Comune di Ravenna” decisero di sottrarsi al ricatto padronale e di mettersi insieme per formare una cooperativa che fin dallo statuto rivendicava la propria appartenenza di classe, dichiarandosi “composta di operai autentici, ispirati agli interessi generali della classe, praticanti i principi della buona cooperazione”….
Parole e musica rimbalzano contro le facce indifferenti dei poliziotti perdendosi nel vuoto dei piazzali, tra i muri di un complesso che sembra disabitato “…e, di fatto, lo è” mi spiega un compagno ravennate. La CMC è ormai una potenza economica multinazionale che prende appalti miliardari e li smista in subappalti, polverizzando la forza lavoro, con enorme profitto, responsabilità minima e rischi di contestazione inesistenti: una macchina che trita soldi pubblici, natura, vite umane e li trasforma in affari e potere, con assoluta trasversalità.
A Ravenna è rimasta la vetrina, il primo storico edificio, la rappresentanza politico-economica, un manipolo di tecnici e capi, uffici, magazzini per i grandi macchinari. Ma soprattutto dura il potere sulla città e sui suoi organi di governo, tutti rigorosamente in mano al PD. Non a caso, dai giornali, il sindaco di Ravenna ha difeso strenuamente la CMC e bollato d’infamia l’iniziativa di contestazione.
Dopo aver messo simbolicamente a dimora alcune piantine davanti ai cancelli, ci incamminiamo sulla via del ritorno, sempre circondati dalle truppe e seguiti a vista dalla digos. Nei pressi della stazione compaiono anche il questore in fascia tricolore ed un alto ufficiale dei carabinieri con tanto di medagliere sul petto.
Quanto sarà costata in termini di soldi pubblici questa parata davvero ridicola, vera e propria provocazione nei confronti di una manifestazione totalmente pacifica e anche troppo composta?
E’ già sera quando, dopo gli interventi conclusivi e i saluti, risaliamo in pullman. Il vento porta, con le prime gocce di pioggia, l’odore del mare. Da una palina segnaletica ci saluta in adesivo il ritratto di Giustiniano con tanto di bandana NO TAV sul volto.
L’ultima provocazione ci giunge quando già stiamo viaggiando: un giornalista riferisce per telefono a uno di noi le dichiarazioni del Sindaco sulla giornata: “ La manifestazione è stata un fallimento. Ravenna è salva”.