Oggi quarta udienza del maxi processo per associazione a delinquere a carico di 28 attivisti del Movimento No Tav e delle realtà di movimento torinese, come il Centro Sociale Askatasuna e lo Spazio Popolare Neruda. Un processo ancora ad inizio dibattimento, ma che ha visto la Digos torinese con i pm Pedrotta e Gatti, chiudere il quadro generale.
Nonostante si cerchi di nascondere le reali intenzioni del procedimento dietro lo spauracchio di occulti disegni criminosi, il centro dell’attenzione delle autorità giudiziarie è sempre più chiaro: attaccare, con tutta la forza, il Movimento No Tav e la sua pluridecennale esperienza di lotta e Resistenza.
Ed è così che storici attivisti del movimento diventano criminali che si mimetizzano tra gli altri, i Mulini (area a ridosso del cantiere di Chiomonte animata dai No Tav) diventano luoghi occupati per portare avanti il disegno criminoso, stessa sorte per il presidio di San Didero, non più presidio resistente ma ritrovo per pericolosi delinquenti che pianificano azioni di disturbo al cantiere, come le pericolose “battiture”. Nelle iniziali intenzioni della Procura, nel marzo del 2022 quando l’inchiesta ha visto la luce (piuttosto tenue visto il rigetto da parte del gip dell’accusa di associazione sovversiva, quindi poi rimodulata) la messa sotto sequestro di questi luoghi, insieme al centro sociale Askatasuna ed altri luoghi occupati, era la reale intenzione, non andata a buon fine.
Se questo è stato l’esordio del procedimento, oggi gli imputati si trovano a rispondere di due principali accuse: la prima, aver alimentato nel corso degli anni l’iniziativa del Movimento No Tav, reo di voler impedire una decisione presa dalla Stato a più livelli e con accordi siglati a livello internazionale (da qui non a caso era nata l’iniziale accusa di associazione sovversiva). La seconda, invece, a partire dall’elenco di tutti i movimenti ed episodi di protesta dal 2009 ad oggi a Torino (tra cui l’Onda Universitaria, le contestazioni al G7 di Venaria, le proteste contro l’attacco alla legge sull’aborto, le contestazioni alle organizzazioni neofasciste in università e in città, a Salvini ed altri episodi legati a delle lotte vertenziali ecc…) la procura e questura indicano un’unica regia, snaturando in un solo colpo movimenti partecipati e trasversali, individuando delle “ricorrenze” , in realtà proprie di molti movimenti di protesta (campagne mediatiche, travisamenti, scontri, sanzionamenti ed altro), ma a quanto pare brevettati ed agiti solo ed unicamente dai No Tav e dal Centro Sociale Askatasuna in Italia, forse anche nel mondo.
Un quadro desolante in cui la Cassa di Resistenza No Tav, il Festival dell’Alta Felicità, questo stesso sito di Notav.info, sono solo strumenti per alimentare l’associazione criminosa.
Arriviamo all’udienza di oggi, ripresa per i suoi contenuti da diverse testate giornalistiche.
Si è aperta con una dichiarazione degli imputat*, qui trovate il link.
A seguire il controinterrogatorio del test della Digos, sollecitato dalla parte Civile per il Ministero degli Interni a quantificare il danno subito dallo stesso nel corso degli anni dal Movimento No Tav. Ed ecco che la militarizzazione della Val di Susa, da sempre negata dagli organi governativi, viene rivelata, in tutta la sua drammaticità: una media annuale nel 2014 di 251.000 operatori delle Forze dell’Ordine operativi in valle, poi diminuita negli anni successivi per risalire nel 2020 con l’allargamento del cantiere di Chiomonte, fino ad arrivare ad un impiego di 266.000 unità nel 2021, con l’apertura del fortino di San Didero (chiamarlo cantiere sarebbe un eufemismo). Questi numeri, che restituiscono una realtà allarmante, sono stati poi utilizzati per quantificare la spesa del Ministero a contrastare le iniziative del Movimento No Tav e parliamo di circa 3 Milioni di euro per il personale dal 2011 al 2021 (contando il vettovagliamento, gli straordinari, le indennità da ordine pubblico, le attività fuori sede e il mancato impiego del personale in caso di infortunio sul campo), fino ad arrivare ad 8 Milioni per i costi di aggregazione, ossia quando i reparti e funzionari vengono da fuori Torino e devono essere ospitati e nutriti, oltre che stipendiati.
Cifre da capogiro se pensiamo alla profonda crisi sociale ed economica che attanaglia il paese, indicatore di come le priorità di investimento siano troppo spesso dettate da interessi di parte. Il progetto del Tav, buco nero di soldi pubblici, è parte di quello che viene sottratto alla sanità, alle famiglie che non riescono a mettere sul tavolo il pranzo con la cena, a chi non riesce a pagare le bollette ed è la negazione dell’emergenza climatica e di ogni discorso di cura e tutela dell’ambiente.
Ritornando al processo, ad ogni udienza si palesa sempre di più la volontà vendicativa della Procura Torinese e degli organi di questo Stato e si delinea per quello che è: un processo politico contro il conflitto sociale ed ogni istanza di cambiamento per la giustizia sociale e climatica.
Il Movimento No Tav saprà affrontare con forza e dignità anche questa battaglia. Solidarietà a tutti gli imputati!