«Oggi, la incontro oggi in carcere. Ed è la prima volta da quando l’hanno portata via. Sa, quarant’anni insieme sono tanti, ne abbiamo passate tante. E mi creda, con la politica sempre in primo piano». Parla Silvano, il marito di Nicoletta Dosio, la No Tav che ha rifiutato le misure alternative e ha scelto di andare in carcere per scontare la condanna ad un anno.
Lei non ha tentato di dissuadere Nicoletta da questa scelta estrema?
«Assolutamente no. Ne abbiamo parlato tra noi e con gli altri del movimento. Questa era la sua decisione: quindi l’ho accettata. Lei voleva porre l’accento su questa nostra battaglia controil supertreno. C’è riuscita e ci sta riuscendo. Del resto Nicoletta è una donna abituata alle battaglie anche dure».
La prima se la ricorda?
«Certo, erano gli inizi degli Anni ’80. Lei insegnava latino e greco al liceo di Susa: la accusarono di far propaganda marxista. Follie: insegnava soltanto ai ragazzi a pensare con la propria testa».
Che cosa accadde?
«Era il periodo in cui si discuteva della base di Comiso. E i suoi alunni indissero una assemblea a cui dovevano partecipare altre persone. L’iniziativa venne bloccata e si scagliarono contro di lei. Dimostrò che quelle accuse non erano vere».
E una. Poi ci fu la battaglia contro l’autostrada?
«Sì, ma prima si è battuta per far aprire un liceo scientifico a Bussoleno, perché i ragazzi di qui erano costretti ad andare via per studiare. Andò diverse volte a Roma, alla fine il Ministero diede il benestare. E poi c’è stata l’autostrada, la lotta al Superfenix e decine di altre».
Una vita in prima fila: pentimenti?
«Nessuno. Se decidi di impegnarti nelle cose vai fino in fondo, in modo coerente, pagando di persona se è il caso. Nicoletta lo ha fatto, con grande serenità»
Il no alla Tav, però, le è costato caro, o sbaglio?
«Certo, ma non soltanto per il carcere. Con una manganellata le hanno rotto il naso, tanti anni fa. Era l’8 dicembre, quando venne ripresa Venaus. Le spaccarono le faccia; e prima era stata al Seghino, e a tutte le altre iniziative di valle ».
Scusi, ma un po’ di tranquillità per voi, mai?
«Vede, ogni cosa che ha fatto, che abbiamo fatto, è sempre stata improntata alla giustizia, alla libertà, inseguendo nuovi modi di sviluppo che tengano al centro l’uomo non il profitto. Questo è il nostro modo di fare politica».
Ma ambizioni politiche, in senso di seggio, ne avete avute?
«Nicoletta è stata candidata una volta alle politiche con Rifondazione. Alle europee del 2014 era in lista con Altra Europa. Per noi la politica è servizio, è giustizia, sono gli altri».
Da quanti anni dividete la vita e le scelte politiche?
«Da quaranta. Lei arriva da Democrazia proletaria, io da Lotta Continua. Abbiamo sempre avuto nel Dna la battaglia contro le ingiustizie».
Avete figli?
«No, i nostri figli sono i ragazzi del movimento, e le persone con cui abbiamo lottato. Sapesse quanti attestati di stima mi sono arrivati».
Me li dica.
«Le mamme che parteciparono alla lotta per il liceo di Bussoleno hanno dato vita aduna petizione per Nicoletta. Un’altra è partita tra gli insegnanti. Ci sono già centinaia di firme. Ecco, questo è far politica: battersi per battaglie giuste».
Ma la galera è una scelta estrema. La più estrema per una donna che nella vita faceva l’insegnate. Non è vero?
«Certamente. Ma era preparata, anzi eravamo preparati. Potevano venire a prenderla a Capodanno o anche dopo. Noi li stavamo aspettando».
E cosa avete fatto nell’attesa?
«Abbiamo preparato la borsa con le sue cose».
Che cosa ci ha messo dentro?
«Libri, tanti libri. Due che ricordo? Ci sono le lettere di Rosa Luxemburg. Un libro di Gramsci. C’è tutto il suo e il mio mondo lì dentro».
Da la Stampa 07/01/2020