di Raffaele Sciortino per Infoaut
La giornata del tre luglio alla Maddalena ha tra le altre cose messo in campo una capacità straordinaria di controcomunicazione. L’assedio portato avanti con determinazione da gente comune non pacificata ha permesso di rovesciare la strategia fin qui seguita dai poteri di oscurare la protesta e la sua vera posta in gioco riducendola a notizia di second’ordine del tg regionale e delle pagine torinesi dei quotidiani nazionali. Di colpo alta velocità e movimento Notav sono rimbalzati sul proscenio nazionale.
Di colpo le persone fuori valle hanno saputo che si vogliono ancora spendere decine di miliardi in un’opera nella migliore delle ipotesi controversa e che decine di migliaia di indignados, persone “normali” come loro, sono disposte ad opporvisi con quella determinazione. Scoperta o riscoperta che sia e, attenzione, al di là del giudizio di merito sulle “responsabilità” della giornata, fuori valle ci si ritrova costretti a chiedersi cosa è veramente l’opera progettata, chi paga, a beneficio di chi, per che cosa… Non male come controinformazione agita!
Contemporaneamente si è attivata una rete di mass self-communication (http://www.caffeeuropa.it/socinrete/castells.pdf) che si è contrapposta alla (scontata) criminalizzazione mediatica. Sono due risultati non da poco che agiscono su piani sì differenti ma che insieme rendono effettivamente possibile costruire consenso intorno ad una lotta radicale per i beni comuni che si sta interrogando sui passaggi che si trova davanti.
In questo la brezza di cambiamento che ha contribuito al successo referendario può giocare il suo ruolo insieme ai crescenti disastri procurati dal centrodestra. Una discreta minoranza della popolazione ha maturato o sta maturando l’esigenza di affrontare in modo nuovo, nel linguaggio dei beni comuni, i nodi dello sviluppo e della ricchezza. La maggioranza percepisce nella crisi la tempesta in arrivo e inizia a guardarsi intorno per nuove soluzioni. È su questo sentimento diffuso che il movimento Notav può e deve far leva per “uscire fuori” e rompere, mentre continua con le modalità che deciderà il suo assedio ai cantieri militarizzati, l’altro assedio, quello cui i poteri forti lo vogliono sottoporre su tutti i piani.
Non occorre andare a cercare lontano il terreno su cui impostare una battaglia generale per fare rete e allargare la lotta. Il nodo cruciale e prossimo è quello dell’attacco speculativo al debito pubblico italiano, con annessi e connessi.
Gli insider già ne parlano e sotto traccia stanno già attivandosi. Su Bloomberg, uno dei siti di informazione finanziaria di maggior peso internazionale, è comparso lunedì quattro l’articolo di un noto analista dal significativo titolo Sarà l’Italia il prossimo pezzo del domino europeo a cadere? (http://www.bloomberg.com/news/2011-07-05/could-italy-be-next-european-domino-to-fall-commentary-by-simon-johnson.html) Il ragionamento è serrato. La crisi debitoria europea non si è affatto conclusa con il pacchetto di austerità greco: “con un quadro economico precario l’Italia potrebbe essere la prossima a essere messa sotto pressione”. Non solo per l’entità in sé del debito sovrano, la scarsa crescita, l’inaffidabilità del governo: l’Italia in effetti rimane differente dalla Grecia, sotto molti punti di vista. Ma perché sta succedendo qualcosa nella dinamica della speculazione. Se fino al caso greco l’ottica degli “investitori istituzionali” è stata quella di dare per scontati i salvataggi (dei creditori, cioè di quelle stesse istituzioni) da parte della Banca Europea e di Berlino, ora si iniziano a mettere in conto le perdite possibili. Ma per un peso medio come l’Italia il salvataggio è “inconcepibile” proprio per la sua entità (circa due trilioni di euro di debito contro i trecentosessanta greci) e per i limiti del bilancio europeo e della volontà politica di Berlino. “L’Europa semplicemente non ha sufficiente volume di fuoco per gestire una crisi italiana, se non altro per proteggere completamente i creditori” (non si parla di quelli piccoli, of course). Di qui l’aumento in corso dei rendimenti sui titoli del debito pubblico con la conseguente difficoltà di raccolta sia per lo stato che per le banche italiane che risentono del rischio-sistema; di qui soprattutto la probabile fuga dal debito italico – quella dai titoli bancari è già in atto da settimane, lamenta IlSole (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-07-07/allestero-vuole-male-084104.shtml?uuid=AaTSZwlD) – con aumento dei tassi e ricadute negative su tutti i piani. Marcegaglia con i suoi appelli per una finanziaria ancor più pesante e operativa da subito è in buona compagnia internazionale…
Non il se ma il quando e come della tempesta è l’incognita. E’ chiaro allora il perché della fretta maledetta del partito trasversale dell’alta velocità. Ma anche dei dubbi sempre più diffusi tra la popolazione. Dubbi che qui e là trapelano addirittura negli stessi circoli del potere magari sub forma di scontro interno allo stesso Pd (tipo Liguria contra Piemonte sul terzo valico). Soldi non ce ne sono, e proprio per questo vanno accaparrati prima possibile! Ma intanto si avvicina la resa dei conti anzitutto per la finanza degli enti locali letteralmente maciullata dalla finanziaria di Tremonti (alla faccia del federalismo della Lega).
Il fattore tempo diventa così decisivo e i mercati non ne concederanno molto. Ma a chi? Il tempo degli affaristi non è quello del movimento NoTav. C’è una asimmetria costitutiva che va giocata contro. Resistere in valle un minuto più di loro è possibile se contemporaneamente si porta la battaglia sul piano politico generale e nazionale sicuri che quando la crisi si abbatterà sull’Italia il movimento avrà anticipato e agito il nodo fondamentale dello scontro, quello del debito come ipoteca sul futuro della vita di tutti/e. Debito che è “pubblico” quando si tratta di pagare i signori della finanza mentre i proventi riscossi sono sempre rigorosamente privati. Le ragioni del NoTav sono potenzialmente le stesse di chi si troverà a prendere posizione contro i piani di lacrime e sangue. Forse prima di quanto si pensi.
I movimenti per i beni comuni stanno oggi al debito come un tempo la lotta operaia allo sfruttamento, e dietro la questione di chi decide, del potere…
otto luglio 2011
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