Un contro-osservatorio per smontare i miti dell’alta velocità. Un esposto al Tribunale dei Popoli sulle violazioni dei diritti in Val Susa. E un invito a riaprire il confronto con i cittadini. Parla Livio Pepino, il magistrato in pensione da sempre schierato contro il tunnel. Che dice: “Siamo ancora in tempo per cambiare idea”
DI FRANCESCA SIRONI -L’espresso
La Val Susa? È Terzo Mondo. Ma non perché i suoi abitanti siano poveri o affamati, o perché vogliano emigrare rischiando la vita. No: ad assimilarli agli indigeni colombiani o ai contadini dell’Africa Sub-sahariana è un diritto che è stato loro strappato. Quello di difendere il proprio territorio da interessi economici imposti dall’alto. A sostenerlo sono il celebre ex presidente di Magistratura Democratica Livio Pepino e una lunga sequela di studiosi e intellettuali di tutto il mondo, dal teologo della liberazione Frei Betto al regista Ken Loach, da Serge Latouche ad Alex Zanotelli.
Insieme hanno presentato un esposto ufficiale per “ violazione dei diritti fondamentali in Valle ” al Tribunale permanente dei Popoli, un organo “d’opinione” (i suoi atti non hanno conseguenze giuridiche), ma storicamente importante. E che fino ad oggi, appunto, si è occupato di violenze e danni ambientali contro i popoli dell’Est o del Sud del mondo. Mentre da venerdì (data in cui l’esposto sarà presentato anche in Italia con una conferenza stampa) dovrà studiare un caso europeo.
Ma come, dottor Pepino, già agli italiani importa così poco di quel che succede in questa sperduta provincia torinese, e voi chiedete che ne occupino gli eredi del tribunale istituito nel 1966 da Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre per indagare sui crimini del Vietnam? Non le sembra un po’ esagerato?
«Assolutamente no: ciò che succede a Chiomonte riguarda tutta l’Europa. Il modello avviato da queste parti, l’idea della “Grande Opera Costosa” che si impone sopra la volontà dei cittadini, sarà esportato con successo altrove, se dovesse vincere 20 anni di resistenza locale. Con due problemi: il primo è la sottovalutazione dei rischi ambientali e sulla salute. E il secondo è la ferita che si infligge all’idea stessa di democrazia e partecipazione democratica. Che repubblica è quella in cui vota solo metà degli aventi diritti e in cui quelli che chiedono d’essere ascoltati vengono esclusi dalle decisioni che li riguardano?»
Partiamo da quest’ultimo punto: il Commissario della Torino-Lione sostiene che non sia vero che i cittadini non sono stati coinvolti. Anzi, dice che il progetto è migliorato proprio grazie alle 204 riunioni svolte fra il 2006 e il 2013 con le comunità locali. Non è partecipazione questa?
«Ma che partecipazione: questa è propaganda! Non c’è stato alcun tipo di confronto reale. Hanno invitato i soli sindaci favorevoli alla Tav per discutere sul come fare l’opera. Nessuno ha voluto invece mettere in discussione l’utilità dell’intervento, e le sue conseguenze, insieme agli abitanti. È stato fin dall’inizio un piano unilaterale, gestito senza coinvolgere i residenti»
Ma lei com’è che è diventato un così convinto No Tav? I maligni scrivono sia perché ha una casetta a Chiomonte…
«I punti di partenza sono spesso casuali. E sì, anche se non ho più quella casa, dove ora c’è il cantiere dell’Alta Velocità io andavo a correre col cane. Le conosco quelle terre, ci sono legato. Ma da magistrato e da cittadino colgo in questa vicenda il simbolo di un modello di sviluppo che non funziona più. Che deve cambiare. Partendo dal confronto, vero, con la popolazione: questo sarebbe fare politica in grande»
Ma non è un po’ utopico pensare sia possibile mettere d’accordo gli interessi dello Stato e quelli di chi dice: “Non nel mio giardino”?
«Non ho una risposta pre-costruita da dare. Quello che so è che anche il turbo-decisionismo berlusconiano, su un problema come quello dei rifiuti, ad esempio, non ha portato ad alcun risultato. È ovvio che trovare una mediazione fra interessi locali e priorità nazionali è difficile. Ma è necessario, soprattutto quando si tratta di investimenti colossali come quello dell’Alta Velocità. O facciamo nostra questa consapevolezza, oppure ci troveremo ad avviare ogni volta con vent’anni di ritardo dei maxi-processi, alla ricerca dei responsabili di danni provocati su cittadini che all’epoca non erano stati informati»
Continua a parlare di confronto: ma si può ancora considerare possibile una mediazione dopo gli scontri, gli arresti, le minacce, la tensione che dura da anni?
«Certamente più passa il tempo più sarà difficile ricomporre il conflitto fra Pro Tav e No Tav. Sono convinto però non sia ancora tutto perduto. Quello che chiediamo, con l’esposto al Tribunale dei Popoli, è innazitutto che venga fatta una comunicazione seria e approfondita sui potenziali rischi per la salute degli abitanti. Non due numeretti: un grande convegno che coinvolga esperti e scienziati. Poi, che sia chiarito se il Tunnel è utile o no e in base a quali analisi»
La interrompo: certo che per il ministero è utile la Tav. Hanno appena stanziato tre miliardi di euro! E continuano a pubblicare studi in cui si afferma che indotto e progresso sono assicurati…
«Lo so, lo so: la tecnica non è neutrale. Ma devono provarlo agli italiani, di star spendendo bene i fondi pubblici, non solo a me. E poi, c’è il confronto con la popolazione, ancora tutto da avviare»
Mi sembra che i termini, più che per un nuovo tavolo di discussione, siano perché la Tav non si faccia. Ma i lavori ormai non sono irrimediabilmente partiti?
«No no, non c’è niente di irreparabile. La Talpa sta solo scavando un tunnel geognostico. La previsione è di iniziare quello vero e proprio solo fra cinque, sei anni. Per cui possiamo ancora tornare indietro. Finora è stata solo una fase preparatoria: costosa, ma preparatoria. E io dico: meglio smettere subito piuttosto che arrivare al quasi-cento per cento della costruzione per poi dire “Che disastro”, come sta avvenendo per il Mose a Venezia»
Ma come fa lo Stato a tornare indietro? Proprio mentre due suoi magistrati portano avanti l’accusa di terrorismo contro quattro No Tav…
«È vero, ormai il clima è avvelenato. Distorto da un pensiero unico che mette in luce negativa tutto ciò che riguarda quel Tunnel»
È ancora convinto siano distorte quelle accuse di terrorismo, come aveva già sostenuto tempo fa?
«Io sono convinto che tutti i reati vadano perseguiti. Come non potrei? L’ho fatto per decenni, da magistrato. Ma vanno perseguiti per quello che sono. Bisogna mantenere un’adesione rigorosa alla realtà. Formulare accuse equilibrate, senza enfatizzare. E soprattutto senza esagerare con le misure cautelari»
Per questa sua tesi aveva già litigato duramente, a distanza, con un ex esponente di Magistratura Democratica, Giancarlo Caselli. Che se ne andò sbattendo la porta proprio per uno scritto No Tav di Erri De Luca pubblicato sulla rivista della corrente…
«Chiunque critichi l’impostazione di quel processo oggi è accusato di voler delegittimare la magistratura. Non è così. Io lo ripeto sempre, anche quando vado alle assemblee in Val Susa: i reati devono essere puniti. Bisogna ristabilire un clima più sereno, anche a Torino»
Erri De Luca: lunedì è stato rinviato a giudizio per istigazione a delinquere. Come commenta questa scelta?
«Come sopra»
Arriviamo finalmente a venerdì: oltre all’esposto presenterete la nascita del “ Controsservatorio ” della Valle. Di che si tratta?
«Vogliamo costruire un gruppo di persone impegnate a raccontare l’Alta Velocità in modo diverso. A ripristinare la verità, andando in giro per l’Italia con dibattiti e convegni per far capire come quello che avviene a Susa ci riguardi a tutti. Perché lì si mette in atto un modello di sviluppo sbagliato»
Non correrete il rischio di essere accusati anche voi di istigazione a delinquere?
«Io sono un fervente non violento. Per cui mi ritengo vaccinato. Penso di sapere qual è la differenza fra il raccontare una verità, anche se ostile e dolorosa da ascoltare, e l’eccitare gli animi con delle provocazioni. Sono sicuro che il diritto mite sia l’unica strada da seguire. Partendo, appunto, dalla verità».