di Giorgio Cattaneo, Libreidee.org
Desmesura: letteralmente, “dismisura”, anche in spagnolo castigliano; e prima ancora, nella madre delle lingue neolatine, l’occitano. «Con che desmesura si opprime il conte di Tolosa!», protestava la resistenza libertaria nel 1200 contro la ferocia dei torturatori francesi nella storica, sanguinosa crociata in terra europea, il genocidio degli Albigesi che proteggevano l’eresia càtara nelle loro terre per difendere la propria sovranità. Curioso, ma proprio la bandiera occitana di Tolosa – “capitale mancata” di un possibile Stato europeo esteso da Barcellona alle porte di Cuneo, fino a Bordeaux, Limoges e Clérmont-Ferrand – oggi sventola con orgoglio da Torino alla valle di Susa in mezzo alle bandiere No-Tav.
Complice il risveglio culturale occitanico, che negli anni ‘70 nelle valli cuneesi sfociò nel programma politico del Mao, movimento autonomista occitano, grazie al teorico francese François Fontan rifugiatosi in val Varaita, oggi continua a crescere la consapevolezza della comune radice occitana nel patois che ancora si parla in un’area europea vastissima, dall’alta valle di Susa fino alla sponda atlantica meridionale della Francia passando per le Alpi occidentali, la Provenza, la Linguadoca, l’Aquitania, la Guascogna e i Pirenei, e persino nel territorio spagnolo della val d’Aran.
Sembra una banale filigrana di confini regionali, ma non lo è: secondo Simone Weil, quella fu l’ultima frontiera europea tra il bene e il male; nei suoi scritti sui Càtari e la civiltà mediterranea, la Weil spiega che la resistenza delle popolazioni occitaniche aggredite dai crociati di Parigi col pretesto della caccia agli eretici ripropose per l’ultima volta nella storia il conflitto radicale tra Atene e Roma, ovvero tra bellezza e forza; se avesse vinto Tolosa, scrive la Weil, oggi forse l’Europa sarebbe diversa: più rispettosa delle differenze e incline all’arte della contemplazione, meno corrotta dal culto della crescita illimitata, del denaro, dell’industria. E delle cosiddette grandi opere.
Accanto alla pretesa modernità dell’infrastruttura ferroviaria, affiora anche qualcosa di feudale, di antico e selvaggio, nella desmesura con cui il potere in carica minaccia di abbattarsi sull’inerme popolazione della valle di Susa, abbandonata dalla politica salvo rarissime e nobili eccezioni. Come ha “fiutato” lo stesso Guido Ceronetti, solitario rabdomante dell’invisibile e appassionato studioso del Catarismo, l’eresia mite che predicava la non-violenza contro lo strapotere demoniaco del mondo, la Tav «è parte della fondazione di un impero mondiale della Tecnica che opera a ridurre in schiavitù, una schiavitù mai vista» che tutto soffoca: uomini, animali, coltivazioni. E ancora: «Le connessioni con la finanza, i poteri criminali (ritenuti separabili solo perché fuori della legge), i partiti, i governi, forme e formule terroristiche, non dicono che il nominabile, e non nominano che qualche utensile, di questa mondializzazione che a poco a poco va privando il vivere delle ragioni per vivere».
Le parole di Ceronetti, in fondo, è come se riformulassero, attualizzandola, la desmesura di cui parlavano gli atterriti difensori di Tolosa di fronte alle macchine da guerra apparecchiate per la strage con la benedizione del Papa. E’ la sterminata dismisura di questa minaccia, percepita come incombente rovina apocalittica senza vere giustificazioni umanamente accettabili, ad aver suscitato una così forte resistenza, e non solo in valle di Susa: No-Tav savoiardi erano presenti a Chiomonte sotto i lacrimogeni durante lo sgombero del presidio, dopo aver firmato un patto europeo di mutua assistenza che allinea i valsusini ai No-Tav dell’Aquitania e a quelli di Bayonne, nel paese basco francese.
Non è fuori luogo la bandiera di Tolosa in mezzo ai vessilli No-Tav, come ha ricordato Sergio Berardo dei Lou Dalfin nel concerto offerto a Chiomonte poco prima della cacciata dei presidianti. Proprio il villaggio valsusino dal cui avamposto i No-Tav sono stati brutalmente sfrattati segna l’ingresso nell’area linguistica occitana, dove gli anziani montanari – parlando fra loro in patois d’Oc – hanno atteso le ruspe e la polizia armati di motosega, facendo notte, pronti ad abbattere alberi per ritardare l’avanzata degli “invasori” sbarrando loro la strada. Sono le stesse valli che accolsero profughi perseguitati: càtari, valdesi, ebrei. Le stesse valli dove ora si combatte un’altra resistenza civile: non contro la modernità, ma per un’altra Europa.