di Massimo Bonato – Tg Valle Susa
Proseguono le udienze dei testi portati dalla difesa. Scorre la Valle dagli amministratori ai residenti che il 27 giugno 2011 o il 3 luglio, o entrambi, si trovavano sui luoghi dei disordini per il quale il processo è istituito.
Scorre la Valle. Chi non sa di preciso dove andare e dev’essere accompagnato. La signora con la borsetta che non sa dove guardare quando le vengono rivolte le domande, l’anziano a cui sfugge qualche parola in piemontese. Gente comune. Ma che il 27 c’era. C’era alla fiaccolata del 26 sera, C’era la notte a vegliare o a dormire all’addiaccio. E c’era perché credeva in ciò che ancora chiama la Libera Repubblica della Maddalena. Ovvero un luogo per il quale “era stato pagato un plateatico” e in cui chi vi si trovava si sentiva al sicuro, in diritto di stare.
Sfilano, portati dalla difesa a testimoniare di quelle pietre che non han visto volare da dove si trovavano. Sfilano, portate dalla difesa a testimoniare della gran copia di lacrimogeni di cui son stati investiti senza motivo; dell’inseguimento nei boschi, dove pure non si trattava che di fuga; dei lacrimogeni sparati sui fuggitivi tra l’aria ferma dei sentieri, sui quali ai più è mancato il respiro, molti hanno avuto bisogno di un soccorso mentre il fiato veniva meno e i gas non concedevano tregua al fiato e alla vista. “Da bambino son stato sotto tre bombardamenti, ma non ho visto mai niente del genere” dice N.V, classe 1937.
Gente comune. Gente della Valle.
Così come la difesa chiede quali fossero le posizioni di ciascuno, gli spostamenti, ciò che è stato visto, sentito, ciò di cui si è parlato nella serata precedente, così l’accusa incalza di rimando, chiedendo che cosa si fosse visto dei ragazzi che sul collo del tunnel, il 27 giugno, scaricavano estintori sulla pinza meccanica in autostrada, sulle pietre lanciate, cercando tra le pieghe di capire se vi fossero state direttive precedenti a istruire i manifestanti. “Ho dormito alla vitivinicola – dichiara T.S. – un fuoco d’artificio era il segnale convenuto per dirigerci sul piazzale”. E gli toccherà specificare, come farà che non si stava parlando di “razzo” ma di fuoco d’atificio, deciso in assemblea.
Si parla perlopiù del 27 giugno quindi. Quando almeno un migliaio di persone si è radunato la notte della fiaccolata il 26, in odore di sgombero dell’area museale, da tempo adibita a incontri, dibattiti, lezioni, conferenze, con i suoi gazebo, le tende, gli spazi della Comunità montana per l’incontro degli amministratori, la tenda dell’infermeria, la cucina, lo spazio per chi avesse voluto parcheggiare un camper o una tenda. Tutto pagato. Ritenuto sicuro. Di diritto.
Perché opporsi allora? A che cosa?
“Era al corrente di una lettera del comissario europeo che chiedeva l’immediato inizio dei lavori il 30 giugno – il Pm chiede a Ezio Bertok – Perché vi siete opposti alle Ff.Oo.?
“Da vent’anni le iniziative europee vanno in questa direzione e non ci sono mai stati trattati vincolanti” risponde Bertok.
“C’erano state direttive di comportamento per i manifestanti?”
“Mai sentito parlare di direttive”.
“Quindi chiunque poteva fare quel che voleva. Chi voleva poteva opporsi pacificamente e andarsene” incalza il Pm Padalino mentre Ezio Bertok rimane impassibile stretto tra le braccia conserte, piegandosi appena verso il microfono per rispondere senza scomporsi.
Ma a scomporsi, rubizzo, è via via il Pm Padalino la cui voce acuisce, alzandosi sul timbro posato di Bertok: “Lei dice di aver visto uscire la polizia dalla galleria, ma non ha visto lanciare le pietre?”
Ezio Bertok ribadisce con tutta calma ciò che ha da poco detto – “Che ci siano stati lanci di pietre non lo escludo ma io non li ho visti”. Da dove si trova il 27 giugno presso le barriere sul lato dell’autostrada ha più a cuore i pericolosi movimenti della pinza meccanica che cerca di allontanare i manifestanti dalla barricata oscillando – “Non ricordavo l’avessero chiamata ‘Stalingrado’, lo sento da voi” – con palese rischio per la loro incolumità. La sua risposta è pronta: “Io sono qua per rispondere non per farmi intimidire”. Bagarre assicurata, per la difesa che interviene, il Pm che rivendica il dirittto di non “essere preso in giro”, il giudice che richaima all’ordine e paca i toni.
Ma dai banchi almeno ancora il ruggito sommesso e provocatorio raggiunge l’uditorio: “Non ci interessa”, si sentirà sommesso a microfono aperto. Non interessa cioè che la ‘Scala della Ramat’ si chiami così per la difficoltà che presenta per essere salita tra i boschi, cosa che spiega M.C. di Oulx, per descrivere la difficoltà della gente che di lì doveva passare inseguita dai lacrimogeni, ormai in rotta, inseguita senza motivo dalle Ff.Oo.
Ma non importa.
Il quadro è chiaro.
Rigettata da parte del Tribunale l’istanza della difesa di recarsi in loco per rendersi conto della geomorfologia del territorio per aver più chiaro ciò che carte e fotografie, filmati riportano
Rigettata da parte del Tribunale l’istanza della difesa di trasferire il processo in un aula di Tribunale più consona: è un’aula come tutte le altre e più capiente delle altre, considerando le intemperanze che si sono verificate: se foste stati bravi…