Così le comunicazioni tra poliziotti di sorveglianza alla stazione di Chiomonte in quel lontano 3 Luglio 2011. Rivelatrici di quanto si stava preparando per i manifestanti. Chiuse le arringhe della difesa, niente repliche. Ora si attende una sentenza ad oggi imprevedibile.
di Fabrizio Salmoni – tg ValleSusa
Si conclude col botto di due obici della difesa, Claudio Novaro e Roberto Lamacchia, questo processo duro e controverso i cui esiti sono quasi oggetto di scommessa. Pessimisti a metà gli avvocati, ottimisti a metà quelli che sperano nella forza degli argomenti espressi dal numeroso collegio di avvocati ma, come abbiamo già avuto occasione di scrivere, è in realtà tutto appeso al coraggio dei giudici (dubbio) e agli equilibri tra Tribunale e Procura. Non ci sono indizi apparenti se non la precisione con cui oggi il Presidente ha fissato la lettura della sentenza: dopo le 14,30 del 27 Gennaio. Cosa che fa pensare che, malgrado il numero delle posizioni personali da stabilire, delle decisioni siano già state prese, almeno nella testa dei giudici.
Capiremo allora quanto avranno pesato gli sforzi di un valoroso collegio di difesa che si è impegnato a fondo nella ricostruzione dettagliata della successione degli eventi e del contesto in cui si sono svolti i fatti dell’estate 2011 per farne argomento imprescindibile alla comprensione del quadro generale degli eventi. Nelle voci dal bunker, si stima che condanne non superiori ai due anni e niente danni da pagare sarebbero un buon successo.
“E’ stato un processo fuori dalla norma” dice Lamacchia (foto sotto), con falsità evidenti, ruvida contrapposizione dei pm con imputati e difensori, provocazioni di pm e dell’avvocato di Stato, richieste pesanti sulla base di un teorema preconcetto su cui si sono cercate prove mai raggiunte ma solo rivendicate, identificazioni raffazzonate, omertà, silenzi e archiviazioni preventive sulle violenze della polizia. E poi ancora, le violazioni delle norme del Testo Unico di Polizia e delle ordinanze del Questore da parte di dirigenti sul campo e vicequestori che scatenano la soldataglia e le permettono di sfogarsi sui fermati.
Proprio dei due casi peggiori si è parlato oggi, dei fermi di Nadalini e di Soru, semilinciati da una turba di agenti e carabinieri travisati con maschere da motociclista e ciò malgrado, imputati di resistenza e lesioni, con la Rai che, richiesta dei filmati, dice di averli persi e con la reiterata negazione del giudice preliminare ai difensori di visionare il fascicolo con la motivazione che “Non è opportuno”.
“In quei giorni – insiste Novaro – i diritti costituzionali furono messi a repentaglio dai comportamenti delle forze dell’ordine e dai loro dirigenti“. Novaro aveva esordito elencando le criticità principali dell’offensiva giudiziaria che ha portato al processo: il contesto complessivo, cioè l’incapacità – o non volontà – di fare i conti con la portata del conflitto sociale in Val Susa e con la consapevolezza che la politica è ben presente nella questione Tav; con “un’impalcatura normativa e costituzionale che avrebbe dovuto tutelare i dimostranti;” un contesto di rapporti continuativi tra attori contrastanti (popolazione e polizia) per una durata di lunghi anni in cui “ogni azione comporta una reazione contraria ma bisogna valutare se le condotte della polizia non siano state eccessive e sproporzionate. C’è stata una volontà prevaricatrice nei confronti del cittadino, condotte arbitrarie, sconvenienti, scorrette“. E in quei giorni d’estate ci fu premeditazione da parte delle forze dell’ordine sul campo. Già le frasi captate e messe agli atti dei poliziotti in osservazione alla stazione di Chiomonte prefiguravano l’atteggiamento aggressivo che avrebbe avuto concretezza nell’attacco alla manifestazione.
Novaro(foto a destra) si affida anche alla giurisprudenza citando sentenze che ammettono la resistenza se c’è disprezzo e minaccia della persona da parte del pubblico ufficiale (Genova 2001 è stata una tragedia ma ha prodotto indagini e sentenze che a posteriori hanno raddrizzato in qualche misura i torti).
Ma dice anche che “Il racconto di Petronzi (capo della Digos) al Tribunale è una caricatura dei fatti tanto da essere smentito sui dati riferiti dal Questore Manganelli“. Insomma, da parte della polizia sul campo c’è stata”esasperazione preventiva che ha prodotto una strategia coercitiva fatta di quattromila lacrimogeni, una quantità fuori dall’ordinario“. La chiusa è rivolta ancora ai pm che avevano accusato gli avvocati di atteggiamento precostituito nei confronti dei testi d’accusa: “Io ce l’ho con chi mente e con chi non inquisisce chi mente”. Dal pubblico scatta un applauso soffocato.
L’arringa del cerimoniosissimo avv. Ettore Grenci (foto in basso) di Bologna fa da intermezzo alla mattinata mentre tra il pubblico girano Tshirt con rasoio e pennello incrociati e la scritta Io sto con Mario, il barbiere di Bussoleno imputato. Grenci si limita a una difesa tecnica dei suoi assistiti prima di lasciare la sbarra a Lamacchia che riprende alcuni temi-chiave della storia del movimento valsusino fino a ricordare la sorte dei due ragazzi anarchici Sole e Baleno, arrestati per terrorismo dal fu procuratore Laudi e suicidati in carcere per poi essere prosciolti da successive indagini, una storia che si ripete oggi con le nuove accuse di terrorismo, un’ombra che ancora grava sulla Procura torinese. Lamacchia ricorda i tanti episodi che hanno negli anni radicalizzato la situazione come l’esclusione dei sindaci contrari al Tav dall’Osservatorio e la chiusura dei lavori per non considerare l’Opzione Zero. Contesta ulteriormente gli argomenti della pm Pedrotta, che sbuffa e si agita sul suo scranno, prima di disaminare le posizioni dei suoi assistiti.
E’ un silenzio teso e preoccupato che domina l’ultima giornata di dibattimento. Il dado è tratto. Martedi 27 ci sarà mobilitazione dentro e fuori dall’aula in attesa di una sentenza che in un senso o nell’altro farà storia. (F.S. 21.1.2015)