La nomina era nell’aria. Con il giuramento è cosa fatta: Matteo Salvini sbarca al ministero delle infrastrutture. È certo una a soluzione di ripiego, quella del capitone. Rintronato dalla batosta elettorale che ha portato la Lega sotto il 10%, non ha potuto fare altro che rinunciare a quel ministero dell’interno in cui aveva potuto fare il gradasso sulla pelle di disgraziati e poveracci tra un’ingozzata e l’altra. Quel che è certo, però, è che il fatto che un politico tutto ordine e manganello abbia espresso il desiderio di gestire il dicastero delle infrastrutture è la rappresentazione plastica del modello di gestione del rapporto tra opere pubbliche e territorio che va per la maggiore in Italia.
Di Matteo Salvini la Val Susa non serba grande memoria se non quella di un pavido pallonaro venuto a vendere un manciata di posti di lavoro che arriveranno in cambio della devastazione delle alpi. Ce lo ricordiamo tre anni fa, arrivato di soppiatto nascosto dietro decine di poliziotti, mentre un gruppo di notav lo contestava sotto la neve davanti al non-cantiere di Chiomonte.
La nomina di Salvini fa capire anche quale sarà la posta in gioco della prossima legislatura, al di là di maquillage formali e propaganda. Con l’arrivo dei soldi del Pnrr bisognerà procedere spediti con cementificazione e grandi opere. Quindi serve un ministro molta ruspa e poche chiacchiere pronto a passare letteralmente sopra le comunità locali per la felicità degli investitori delle grandi imprese del tondino e del cemento. Le dichiarazioni del neo-ministro a favore del ponte sullo stretto che “costerebbe più non fare fare” seguono un copione già visto e fanno ben capire quali saranno le priorità dei prossimi mesi.
Quanto a noi, Salvini arriva al ministero delle infrastrutture in un momento cruciale per il raddoppio della Torino-Lione. Lato Francia il progetto traballa, una commissione parlamentare ha recentemente denunciato gli effetti devastanti del Tav sull”equilibrio idrico alpino mentre il governo nicchia sulla tratta nazionale di cui non si conoscono né progetto né finanziamento. Lato Italia, alla corte dei miracoli della grande mala opera si inzia già a scalpitare. Foietta, riciclatosi delegato italiano alla conferenza intergovernativa TAV pur di non trovarsi un lavoro vero, ha fatto recapitare a Salvini una letterina in cui pretende di mettere a bilancio 200 milioni l’anno per 10 anni per la tratta nazionale tra Orbassano e Susa. Cifre vertiginose che, in tempi di fiammate dei prezzi delle materie prime e rallentamento del commercio internazionale, ci ricordano ancora una volta l’urgenza di dirottare risorse sulle reali esigenze della popolazione invece di insistere con progetti mortiferi e insensati.