Procura di Torino e Governo oggi graniticamente insieme contro l’acquisizione di documenti che provano infiltrazioni e frequentazioni mafiose in aziende coinvolte negli appalti TAV Torino-Lione.
Le difese degli imputati in udienza hanno annunciato il deposito di una relazione del nucleo investigativo dei Carabinieri del 19 dicembre 2011, parte del cd processo ‘Minotauro’, che dimostra:
- -che Bruno Iaria, membro della ‘ndrangheta e capo del c.d. “locale” di Cuorgnè, è stato dipendente della ditta valsusina Italcoge S.p.A., quella la cui ruspa sfondò il cancello della centrale idroelettrica il 27 giugno 2011 a Chiomonte, difesa e scortata dalle forze dell’ordine. Per i feticisti, il simbolino Italcoge si vede nella foto qui sotto, sulla ruspa, dietro ai fari.
La relazione dei c.c. dimostra anche
- -i rapporti tra Italcoge S.p.A. e Iaria Giovanni, padre di Bruno ed altro membro della ‘ndrangheta.
- –le frequentazioni tra membri della ‘ndrangheta e la società Martina (altra azienda valsusina coinvolta negli appalti TAV Torino-Lione), in particolare la presenza di uno dei soci ad una riunione dell’anno 2007 a casa di Iaria Giovanni.
Si tratta insomma delle due società, Italcoge e Martina, aggiudicatarie dell’appalto di Lyon Turin Ferroviaire per la recinzione del cantiere della Maddalena a Chiomonte e che lì hanno operato il 27.6.2011 e 3.7.2011 fianco a fianco con le forze dell’ordine.
Un elemento rilevante per il processo e per conoscere le motivazioni degli oppositori al TAV, visto che – lo ha detto il Prof. Marco Revelli sentito all’udienza di oggi – proprio il carattere di lotta alla mafia è uno dei collanti del Movimento. E infatti la richiesta di produzione documentale delle difese degli imputati era scattata durante l’audizione dello storico.
Il professore aveva appena finito di dichiarare che il mattino del 27 giugno 2011 al cancello della centrale i manifestanti no tav, mentre si opponevano allo sgombero, urlavano “mafia – mafia” all’indirizzo della ruspa. La ruspa gialla che avrebbe abbattuto il cancello e si sarebbe fatta strada sino al piazzale dell’azienda vitivinicola. La ruspa scortata e difesa dalle forze dell’ordine – “embedded“, l’ha definita Revelli.
Revelli aveva ricordato al microfono che la cosa lo aveva stupito. Che lui era lì, sul posto, in quei momenti, vedeva la scena e si chiedeva perchè gli altri no tav urlassero “mafia-mafia“. Che la cosa gli faceva specie, perché il ministro di allora Maroni diceva che in quei giorni lo scontro era tra “ordine e disordine”.
Se la gente urlava “mafia” all’indirizzo dei mezzi delle ditte che stavano per sgomberare l’area della Libera Repubblica della Maddalena, chi era uno e chi era l’altro?
Revelli aveva chiesto il perchè di “mafia – mafia“, e quelli a fianco gli avevano risposto che da tempo, da decenni, in Valsusa c’erano infiltrazioni mafiose, che alcune ditte erano chiacchierate, che loro soci o dirigenti avevano riportato – lo diceva la cronaca giornalistica – condanne per turbativa d’asta, corruzione e altro. E che c’era il forte sospetto che la ‘ndrangheta avesse rapporti con alcune di queste ditte.
Ma la Procura di Torino oggi in udienza ha chiesto che il Tribunale non ammettesse la produzione: per i PM, le infiltrazioni mafiose – “ammesso che esistano” -, non hanno nulla a che vedere con la questione TAV e con il maxi processo. E devono restare fuori.
Si è opposto alla produzione anche il fallimento della ditta Italcoge S.p.A.
E, come se non bastasse, si è opposto anche il Governo: pure i ministeri della Difesa, dell’Interno e dell’Economia hanno chiesto che il documento non fosse acquisito.
Il Tribunale di Torino -che nei due anni di questo processo ha sistematicamente respinto le richieste dei difensori degli imputati – anche questa volta, trincerandosi dietro questioni formali, ha fatto come richiesto da PM e Governo e così il documento per ora non entra.
Dunque procura, governo (e tribunale, avallando l’opposizione) non vogliono che si parli di infiltrazioni mafiose – “ammesso che esistano” – in questo processo.
Ma cosa li spaventa tanto?
Non vogliono che si dica che la mafia in Valle di Susa esiste, da quarant’anni? Non vogliono che emerga pubblicamente, anche in aula, che tra le motivazioni dell’opposizione al TAV c’è anche questo, lo sforzo di invertire la rotta, tener fuori dalla cosa pubblica le cosche mafiose?
Sembra la stessa irriducibile contrarietà, già dimostrata tante volte, a fare entrare nel processo la questione di merito di fondo: non volere che si dica e che provi che il TAV è inutile, che è un progetto vecchio e superato, che i traffici merci Italia-Francia sono inesistenti. Perché?
Questo processo, per come è stato impostato sin dall’inizio dalla Procura (con adesione totale del collegio giudicante), è e deve rimanere asettico, plastificato, precotto: hai tirato un sasso – resistenza e violenza a pubblico ufficiale. E via il più veloce possibile verso la sentenza di condanna, non mi interessa perché lo hai fatto, non influisce sulla condotta e tantomeno sulla pena.
Per le difese, il maxiprocesso no tav è stato impostato come qualcosa d’altro: confronto (forzato, ovviamente…) nel merito, nell’arena giudiziaria, il perché, se un sasso è stato tirato, lo si è tirato. Una difesa nel processo: quel tipo di difesa di cui Caselli denunciava la scomparsa nelle aule di ‘giustizia’, sostituita dalla difesa dal processo, e che però alla prova dei fatti, lo stesso Caselli e i suoi sostituti si sono rifiutati di affrontare. Per le difese il maxi processo era un processo che doveva dare spazio alle motivazioni storiche e sociali di fondo dei manifestanti e degli imputati delle due storiche giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011: l’opposizione ad un’opera inutile, devastante per l’ambiente, mancante dei requisiti strutturali per farla perché progetto vecchio di 20 anni, in cui avrebbero lavorato le solite grandi aziende, con attribuzioni sospette di appalti, e con la sinistra presenza in Valsusa della ‘ndrangheta.
Perciò la produzione di quel documento per gli imputati era importante e l’opposizione alla produzione è una questione molto seria, grave, preoccupante…e in una certa misura incomprensibile, sia dal punto di vista storico e sociale che da quello giuridico.
Per la storia basta pensare alle presenze, confermate, della mafia nei cantieri TAV della Roma – Napoli. Alle innumerevoli informative sulla realtà della presenza di camorra e ‘ndrangheta negli appalti e subappalti dell’alta velocità ferroviaria, addirittura i chiamiamoli gridi di allarme della commissione di inchiesta parlamentare del 2011 che allerta sul rischio di infiltrazioni mafiose negli eventuali cantieri della Torino-Lione. E allora, se una comunità di migliaia di persone si oppone ad un’opera pubblica anche perché teme, con fondamento, che i soldi pubblici possano finire in mano ad associazioni criminali, commette un reato? E l’opposizione popolare alle mafie dove finisce? La lasciamo soltanto alla Sicilia, alla Calabria, alla Campania? La lasciamo soltanto ai Peppino Impastato a Cinisi nel 1978, oppure ispirati ad esperienze come la sua, la vogliamo anche al Nord nel 2011 e nel 2014? La mafia esiste solo al Sud e in Lombardia?
Vogliamo ricordarlo, che sono stati i No Tav ad accorgersi che per anni LTF ha utilizzato il C.U.P. sbagliato (codice unico progetto per tracciare a scopo antimafia le transazioni negli appalti pubblici), quello del progetto di una diversa linea ferroviaria? Vogliamo ricordarlo che sono stati i No Tav ad accorgersi che nella sciagurata legge di ratifica dell’Accordo Italia-Francia del 2012 si prevede che gli appalti del TAV Torino-Lione siano assegnati con la legge francese, che non ha leggi antimafia?
Due coincidenze?
E’ preoccupante che di una questione così grave – rapporti tra ‘ndrangheta e società operanti sul cantiere TAV della Maddalena – non si possa parlare nel giardinetto della bella, falsissima e cortese Torino.
(D’altronde, perché stupirsi? E’ la Torino dove evidentemente i grandi appalti per le grandi opere pubbliche sono sempre tutti OK, nessuna corruzione, nessun particolare scandalo, nessuna indagine dirompente. E dove quando anche eventualmente qualcosa succede – pensiamo alla sentenza di primo grado penale che nel 2011 condannò per turbativa d’asta l’allora direttore generale e direttore costruzioni di LTF sull’appalto del cunicolo esplorativo TAV di Venaus -, non c’è nessun magistrato che convoca conferenze stampa. Quelle sono riservate agli arresti degli antagonisti o dei no tav).
Ma non lo si comprende, il rifiuto, neanche pensando alle dinamiche più propriamente processuali, per quanto possano valere a questo punto: il PM non ha anche il dovere, secondo il codice di procedura penale, di cercare elementi a favore degli imputati? E se un no tav si oppone all’avanzata di un mezzo di cantiere di una ditta che è sulla bocca di molti per le frequentazioni con membri di associazioni criminali, commette davvero un reato? E se giuridicamente lo commette, non è forse un reato meno grave di altri analoghi, perché commettendolo quell’imputato ha tentato di salvaguardare beni comuni da interessi…meno comuni?
Ma in questo maxiprocesso – che dal punto di vista delle garanzie e dei diritti degli imputati è un miniprocesso – tutto è anomalo. Benvenuti nella giustizia no tav, benvenuti a Torino.
Gian Carlo Taselli
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