da Libre – Eversivi non sono i No-Tav, ma i politici che vogliono imporre una grande opera calpestando la Costituzione. «Fino a ieri dicevano che il problema non era il movimento No Tav ma le sue frange estremiste e violente. Fino a ieri. Oggi la maschera è caduta. Con la criminalizzazione politica e mediatica finanche di Stefano Rodotà, con la riesumazione dei reati di opinione, con la perquisizione domiciliare nei confronti di Alberto Perino (leader storico del movimento) tutto è diventato più chiaro». Così parla Livio Pepino, già membro del Csm e magistrato della Corte di Cassazione, schierandosi in difesa della causa No-Tav, bersaglio di una autentica “crociata” da parte dei media e dei partiti, e ora al centro dell’azione repressiva della Procura di Torino. Il nemico da battere, evidentemente, «è il movimento di opposizione all’alta velocità in val Susa».
Di che pasta sia fatta «la corazzata bipartisan degli sponsor dell’opera» lo rivela «la lobby politico-affaristica scoperchiata dall’arresto dell’ex No Tavpresidente Pd della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti», mentre anche «l’incredibile Angelino Alfano» scende in campo «come tutore della legalità». Fin qui tutto secondo copione, aggiunge Pepino in un intervento sul “Manifesto” ripreso da “Megachip”. Ma attenzione: nel dibattito aperto da Erri De Luca, secondo cui di fronte all’arbitrio delle istituzioni è legittimo anche il sabotaggio, dal momento che la giustizia viene prima della legalità, tra chi si arrende ai sostenitori dell’opera c’è anche un intellettuale come Massimo Cacciari, «spintosi ad affermare, in una recente intervista, che il Tav fa schifo, ma lo si deve fare perché così ha deciso la maggioranza». Sbagliato, lo corregge Pepino: le sue sono «suggestioni che inquinano il dibattito», nel quale Cacciari sembra ignorare una verità palese: «Identificare tout court la democrazia con le decisioni contingenti della maggioranza è un pericoloso errore».
L’ex giudice scomoda uno dei padri del pensiero liberale, Alexis de Tocqueville, che all’inizio dell’800 scriveva: «Quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte non sono maggiormente disposto a infilare la tesa sotto il giogo perché un milione di braccia me lo porge». Il principio di maggioranza serve per diffondere il governo della società, sottraendolo all’arbitrio di uno solo o di pochi, ma una scelta ingiusta non cessa di essere tale solo perché adottata dalla maggioranza. Proprio per questo, continua Pepino, alcune Costituzioni contemporanee prevedono esplicitamente il diritto-dovere di resistenza, sulla scorta dell’articolo 21 del progetto di Costituzione francese del 1946, secondo cui «qualora il governo violi la libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri». Analoga proposta (diritto-dovere di resistere all’oppressione di poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione) venne formulata alla nostra assemblea costituente da Giuseppe Dossetti, e non fu Livio Pepinoapprovata «solo perché ritenuta implicita nel sistema».
La democrazia non coincide con il principio di maggioranza, che pure ne è uno dei cardini: non a caso – continua Pepino – l’articolo 1 della nostra Carta fondamentale prevede che la sovranità del popolo si esercita «nelle forme e nei limiti della Costituzione». Tra questi, figurano quelli posti dagli articoli 9 e 32 a tutela dell’ambiente e della salute: i diritti previsti da quelle norme hanno carattere assoluto, a differenza per esempio del diritto di iniziativa economica che – secondo l’articolo 41 – è «libera» ma «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». In questo contesto, aggiunge Pepino, il confronto con le popolazioni e le istituzioni locali («mai realizzato in val Susa, dopo il timido tentativo della fase iniziale dell’Osservatorio, presto superato dalla pregiudiziale secondo cui “di tutto si può discutere ma non della necessità che l’opera sia fatta”») non è un lusso, ma «un passaggio ineludibile in un sistema democratico». Continuare a ignorarlo produce «non solo una rottura sempre più difficile da sanare con la valle, ma anche una ferita profonda alla democrazia dell’intero paese». E’ bene che prendano atto, conclude Pepino, «i troppi “maestri di democrazia” che pontificano sul Tav».