ho letto con molta attenzione il suo editoriale di domenica 4 marzo, “Una strana gioventù che odia la velocità“. Le scrivo per la stima che ho nei suoi confronti e perché sono consapevole dell’effetto che un suo testo può avere sui suoi innumerevoli lettori.
Devo quindi subito constatare con amarezza che anche lei incappa -volente o nolente- nella grande mistificazione cui assistiamo sul tema Alta Velocità. Una mistificazione particolarmente ingiusta.
Le scrivo anche perché sono molto colpito -da cittadino e da giornalista- da come l’informazione cosiddetta “mainstream” (e quindi anche il quotidiano da lei fondato) stia trattando l’argomento.
Ovvero concentrandosi sul tema (legittimo, ma secondario) dell’ordine pubblico e su episodi insignificanti rispetto al tema generale (un ragazzo che dà della “pecorella” a un carabiniere), ignorando così (e facendo un torto alla professione e ai lettori) i veri temi della disputa, un “elefante” nella stanza talmente macroscopico che non ne parliamo.
L’elefante in questione ha alcune caratteristiche, che provo a elencare:
1. il problema dell’alta velocità è un problema economico. Ci sono migliaia di pagine di documentazione che dimostrano che l’alta velocità tra Torino e Lione è inutile. Non c’è “domanda” sufficiente, né è prevista. L’ultimo studio, del Politecnico di Milano, risalente al settembre 2011, dimostra addirittura che tutto il sistema ad alta velocità italiano -oltre alla Torino-Lione- è costato troppo rispetto agli investimenti (pubblici) di cui ha necessitato e rispetto ai benefici che ha portato. Migliaia di pagine che la maggior parte degli organi di informazione ha ignorato (e sarebbe grave rispetto alla professionalità) se non addirittura censurato (e sarebbe anche peggio). Il dibattito dovrebbe partire da qui, a mio parere.
2. La costruzione delle linee ad alta velocità è ad altissimo rischio di infiltrazioni. Rischio che si è già palesato nella Torino Milano, col risultato che per ripagare i costi (oltre 7,5 miliardi di euro) che la linea ha comportato, servirebbero 14 milioni di passeggeri. Oggi sono 1,5 milioni. Lei dice -giustamenente- che le infiltrazioni vanno eliminate, e non che le opere vanno fermate. Io dico che alcune opere si fanno proprio perché servono alla criminalità. Questa è la ragione della loro realizzazione: che altrimenti non avverrebbe. Anche questo è un tema su cui mi piacerebbe si dibattesse.
3. Nessun treno merci è mai passato sulle linee ad Alta Velocità. Sostenerlo -insieme alla retorica del “rimanere dentro l’Europa” è mistificare la realtà. Nessun “corridoio” merci attraverserà l’Europa (tant’è vero che la Tav non arriva nemmeno a Trieste). Sostenere poi che la linea ridurrà il traffico di camion è falso.
4. Oggi il costo del progetto viene stimato in 8,3 miliardi di euro, contro i 20 iniziali. Di chi è il merito di questa riduzione dei costi? A me pare delle manifestazioni No Tav. Di chi è la responsabilità di aver approvato un progetto che a questo punto è dimostrato essere stato sproporzionato? Non dovremmo fermarci e per un attimo riflettere su quali sono gli interessi in gioco?
Alcuni passaggi del suo editoriale mi hanno colpito più di altri. Innanzitutto, quando scrive di “interesse generale che confligge con alcuni interessi particolari”. Chiunque abbia letto gli studi -innumerevoli, lo ribadisco- che analizzano l’Alta Velocità tra Torino e Lione sa che i cosiddetti “No Tav” dovremmo essere tutti noi che vogliamo che i soldi delle nostre tasse fossero ben impiegati.
Basterebbe far proprio il principio che le opere non sono buone in sé (certo che siamo tutti a favore del treno rispetto alla gomma, questa è una banalità), ma rispetto a dove e come vengono realizzate. È un principio di buon senso. Ci sono casi in cui realizzare nuove linee ferroviarie non è conveniente. La Torino Lione è uno di quei casi: sarebbe sufficiente potenziare le linee esistenti, risparmiano soldi (pubblici) e impatto ambientale.
Che è il grande assente della sua riflessione. Lei si chiede perché “i giovani sono contrari”. Le rispondo dicendo che forse ai giovani interessa il loro futuro, e sanno che una volta devastato un territorio non si torna più indietro.
A differenza dei “vecchi” (mi perdoni la contrapposizione, ma non l’ho iniziata io) i “giovani” sanno che nel valutare un’opera si devono tenere in mente tutti i costi, compresi quelli futuri, compresi quelli ambientali.
È un loro diritto (si chiama diritto intergenerazionale). I giovani sanno che la tanto agognata “crescita” non si fa con la cementificazione, e con opere inutili, con la retorica vecchia delle infrastrutture (ma lei lo sa che sono in progetto altri 2100 chilometri di autostrade? a che cosa servono?), con la devastazione del territorio. Che il lavoro non si trova aumentando la “produttività” intesa come si faceva nel 1900 (se così fosse allora dovremmo essere lieti dell’acquisto di 131 caccia F35: le pare?), quando nessuno si poneva il tema delle risorse del pianeta e del livello sostenibile dei consumi.
Il benessere, il futuro, il lavoro, nel 21° secolo, si garantiscono solo evitando sprechi, clientelismi, lobby, criminalità, e tutelando il territorio e chi lo abita. Si chiama “democrazia” ed è il motivo per cui i giovani (e non solo loro, in tutta Italia) stanno manifestando.
Pietro Raitano, direttore di Altreconomia