Che cosa si può cogliere sulla politica infrastrutturale del governo Monti? Finora, come giusto dati i tempi strettissimi, non molto. Innanzitutto una attenzione particolare all’intervento dei privati, attraverso una riforma del project financing, che ne aumenti il ruolo e li protegga maggiormente dai capricci della politica. C’è solo da aggiungere che occorrerà anche un occhio vigile sugli aspetti indifendibili del project financing all’italiana: l’indebitamento pubblico mascherato, ciò l’intervento di capitali privati la cui redditività sia comunque garantita dallo stato. Di fatto, un prestito in altra veste, solo dilazionato nel tempo in modo non trasparente.
Facciamo un esempio: le nuove linee ferroviarie non hanno alcun ritorno finanziario (gli utenti non ne vogliono sapere di pagare gli investimenti). Il project financing in questo caso si trasforma sì in un investimento privato, ma con dei canoni annui a carico delle Ferrovie (“canoni di disponibilità”, nei termini della “finanza creativa” cara al governo Berlusconi), che di fatto sono le rate di un prestito ben mascherato. Purtroppo le banche hanno un ruolo centrale in queste operazioni, e certo non tocca a loro entrare nel merito di chi alla fine pagherà, cioè, in questo caso, gli ignari contribuenti, attraverso il bilancio di Fs, società tutta pubblica. Notoriamente, le autostrade, piaccia o meno, hanno utenti molto più disposti a sobbarcarsi i costi di investimento, sempre a loro insaputa.
Allora sembra urgentissimo dare forti segni di discontinuità rispetto alla logica delle grandi opere berlusconiane, soprattutto in termini di trasparenza: confrontare tra loro i progetti sul tavolo con analisi costi-benefici, e esplicitare chi e quanto alla fine pagherà. Infine c’è il problema di spendere i pochi soldi pubblici che ci saranno, con forti contenuti anticiclici: meglio allora concentrarsi sulle “piccole opere”, ad alta intensità di lavoro (ad esempio le manutenzioni), meno visibili politicamente ma molto più efficaci e utili.