[Questo testo è stato scritto da Valerio Evangelisti in occasione della presentazione a Vag61 – Spazio libero autogestito di Bologna, della mostra “I banditi dell’alta felicità” di Davide e Rinaldo Capra.]
Una mostra fotografica di sole facce, giovani o anziane, per lo più serene e ridenti. L’idea, all’inizio, ha sconcertato anche me, poi ho capito.
Questi sono i rivoluzionari italiani del XXI secolo, i nuovi partigiani.
La definizione pomposa meraviglierebbe anche loro, eppure non ne vedo di migliori. Certo, non corrispondono all’iconografia tradizionale del sovversivo.
Non hanno armi (salvo, talora, bottiglie e lattine che potrebbero divenire corpi contundenti; ma scorgo più l’intenzione di vuotarle che di lanciarle), indossano magliette e non mimetiche, sembrano la gente più innocua del mondo.
State attenti, non lo sono.
Da più di vent’anni, gente così ostacola la manomissione del territorio in cui abita, fino a essere letta da governi d’ogni colore come un problema nazionale. Ha subito violenze, carcerazioni, pene pecuniarie che somigliano a un furto. Ha provato sulla propria pelle tutto un armamentario normativo ottocentesco, dal domicilio coatto a surrogati del confino. C’è chi ha perso il lavoro e persino la vita. C’è chi è stato diffamato e chi è stato bastonato a sangue.
Eppure sono ancora lì.
Contro di loro, contro queste facce un po’ ingenue e un po’ sfigate, spesso furbette e ironiche, ci si sono messi tutti.
Cupole di magistrati alla ricerca ossessiva del terrorismo su cui costruirono la loro fama, giornalisti specializzati nella confezione di menzogne raffinate, potenti gruppi industriali, politici impegnati in ciò in cui non credono, e credono in quel che non è confessabile.
Una seconda mostra andrebbe dedicata alle facce di chi combatte i NoTav.
Abbondano i profili grifagni e gli occhi da squalo, ma soprattutto i tratti molli del burocrate. Nessuna allegria in costoro.
Solo la volontà fanatica di schiacciare la disobbedienza, di uniformare vite e coscienze a un dominio infondato eppure assoluto. Credo quia absurdum, diceva un padre della Chiesa.
Ecco, è questa la regola a cui piegare la pericolosa indisciplina, prima che dalla Valle di Susa contagi il Paese.
La partita impostata dal potere travalica ogni razionalità.
Nella linea Torino-Lione ad alta velocità non crede più nessuno. Ogni tanto qualche suo fautore lo ammette. Devastare una valle antica, forare montagne per trarne veleni, sconvolgere un’economia piccola ma prospera e paziente, non ha ricadute economiche concrete, nemmeno a lunghissimo termine. La posta del conflitto è tutt’altra.
E’ dimostrare con la forza che la volontà di chi comanda è indiscutibile, per quanto balordi siano i suoi fini. Noi abbiamo le armi e il potere, voi no. Dunque tacete, o pagherete in sangue e libertà.
Dietro chi vuole il Tav sta un potere smisurato.
Connubi tra governi sovrannazionali, sostegno di una sinistra “cooperativa” dimentica delle proprie origini e dei propri ideali fondanti, calcoli di profitti fatti sulla carta unta del salumaio. In fondo, la tratta ferroviaria da costruire in un futuro incerto, che mai gli attuali protagonisti vedranno, è argomento secondario.
Quello primario è punire i riottosi, in nome di istituzioni legittimate da una fantomatica “democrazia”. Trucco col quale, diceva Rousseau, a scadenze fisse il popolo nomina i propri tiranni.
A uno schieramento preponderante, e in apparenza invincibile, il popolo NoTav ha opposto ciò che si vede in queste foto.
Il modello Gavroche tratteggiato da Victor Hugo. Quello dello scanzonato ragazzetto che irride alle norme e fa, della propria disinvoltura, l’unica, credibile “legalità”. Pronto a sbeffeggiare i potenti e a combatterli sulle barricate. Disarmato (non sempre) ma temibile, nel suo sottrarsi alle falangi decerebrate dell’ordine costituito.
La Valle di Susa è piena di Gavroche, di ogni sesso e di ogni età. Riottosi e astuti, coraggiosi e realistici. Sono eroi? No, sono altro. Guardate i loro volti, studiate le loro espressioni e capirete. Vi sarà chiaro anche perché il potere vuole eliminarli a ogni costo. Con il rivoluzionario addomesticabile, portatore di ideologie formalizzate, si può in qualche modo discutere, arrivare a compromessi.
Con il ribelle no. E’ lui il rivoluzionario vero.
(*) Testo tratto da Zero in condotta.
Articolo tratto da: http://www.labottegadelbarbieri.org/nelle-facce-ribelli-della-valsusa-i-nuovi-rivoluzionari-e-partigiani/