di Giovanni Vighetti per VolerelaLuna
Un paio di notizie recenti, apparentemente tra loro slegate, mostrano per l’ennesima volta – ma chi non vuol vedere e capire non vede e non capisce nulla al di fuori dei propri interessi economici e speculativi – il pozzo nero delle bugie Sì Tav.
Mario Virano, a suo tempo abile tessitore della ragnatela con cui condizionare l’opinione pubblica e renderla permeabile all’idea di una nuova e necessaria linea ad alta velocità Torino-Lyon, prima come Commissario Straordinario per la realizzazione dell’Opera e poi come Direttore Generale di Telt (Tunnel Euralpin Lyon Turin), ha sempre dato per certa la “via della seta” e la conseguente determinante importanza, all’interno di questo progetto, del TAV… da Lisbona a Pechino. Talmente convincente che, nell’aprile 2017 al Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra, gli venne conferito il “Golden Chariot International Transport and Environmental Award”, per il suo impegno nella costruzione del Forum delle Città della nuova via della Seta. Suo compagno di cordata in questo “impegno” fu il non rimpianto ex sindaco di Torino Piero Fassino, quello che nel 2010, all’epoca del referendum sul “piano Marchionne”, si schierò con Sergio Chiamparino (compagno di scopone di Sergio Marchionne) dalla parte della Fiat e dichiarò «Se fossi un operaio voterei sì al referendum su accordo Mirafiori. […] Se vincono i no, pagheranno solo i lavoratori: la Fiat porterà altrove la produzione» (Corriere della Sera, 28 dicembre 2010): dichiarazioni gravi, inopportune e fuorvianti, che aiutarono la risicata vittoria dei Sì, mentre oggi lo smantellamento dell’automotive made in Italy, soprattutto a Torino, è sotto gli occhi di tutti anche per la recente e pessima novità che la nuova Panda elettrica non sarà prodotta né a Mirafiori né a Pomigliano ma in Serbia.
Ma torniamo alla via della Seta. Nel 2015 l’allora sindaco Piero Fassino promosse a Torino il primo “Forum delle città della nuova via ferroviaria della seta”, definita “metropolitana della pace” sulla direttrice verso Pechino. Che dire? Non ne azzecca una e tutto va sempre al contrario delle sue previsioni! Oggi è ufficiale: l’Italia è uscita dalla “via della seta”, abbandonando la “Belt and Road Initiative”, proprio alla vigilia di un aspro confronto su import /export e in generale sugli scambi economici tra Unione Europea e Cina (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2023/12/13/via-della-seta-addio-prima-gli-interessi-usa).
Non più il Tav verso Pechino ma verso Lisbona? Peccato che nella penisola iberica prevalgano binari a scartamento largo, non compatibili con lo standard europeo; e anche questo è un grosso problema logistico sempre sottaciuto. Al massimo sarà un Tav Torino-Lyon a cui i francesi, in verità, non sono interessati e hanno accettato infine il nuovo tunnel solo perché i costi sono addossati per lo più all’Italia anche se il tratto maggiore è in territorio francese.
Nel corso della trentennale e sempre statica costruzione del Tav Torino-Lyon sono stati anche millantati migliaia di posti lavoro con sensibili ricadute per l’occupazione di lavoratori valsusini, assai appetibili posto che la Valle di Susa, con la deindustrializzazione selvaggia della fine del ‘900 (ma storicamente stiamo parlando solo di un “ieri” che abbiamo conosciuto direttamente tutti), è entrata in un’area di sottosviluppo in cui si sopravvive solo a fatica e con il pendolarismo verso la cintura metropolitana. Ma la realtà è ben diversa. Infatti sono stati licenziati i 36 (36 e non 360 o 3.600…) lavoratori valsusini occupati al cantiere di Chiomonte perché il numero degli occupati nei lavori dei cantieri è sempre stato risibile e ad essi subentreranno i dipendenti di Itinera (gruppo Gavio), vincitore del recente appalto per la costruzione del tunnel di base.
Fine della “via della seta”. Fine del miraggio occupazionale, anche per chi ci ha creduto o ha voluto crederci tanto per avere qualche improbabile pezza di argomento da contrapporre alle ragioni del Movimento No Tav, precise e motivate a cominciare dall’analisi costi-benefici che hanno sempre bocciato l’opera.