Area di interesse strategico nazionale. Così, con l’ultimo colpo di coda del governo Berlusconi, è stata trasformata l’area della Maddalena di Chiomonte, quella del cantiere del tunnel geognostico dell’alta velocità Torino-Lione. Lo prevede, per «garantire il regolare svolgimento dei lavori», l’articolo 19 della legge di stabilità, approvata in tutta fretta lo scorso 12 novembre. Cosa significa? E quali sono le conseguenze? Quali diritti mette a repentaglio la militarizzazione della Val di Susa? Ne abbiamo parlato con Daniela Bauduin, avvocato, ed Elena Falletti, ricercatrice in diritto privato comparato, che, dopo aver analizzato i limiti democratici delle ordinanze emesse dalla prefettura di Torino da giugno a ottobre, hanno aperto un nuovo capitolo nella loro ricerca con interventi sulla rivista online Ipsoa della Wolters Kluwer. «Con il maxiemendamento – spiegano – viene dato al cantiere della Lyon Turin Ferroviaire (Ltf), società responsabile della parte comune italo-francese del futuro collegamento ferroviario, un riconoscimento di vera e propria intangibilità». Chiunque si introduca abusivamente nell’area della Maddalena rischia – secondo l’articolo 682 del codice penale (ingresso arbitrario in luoghi, ove l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato) – un anno di carcere o una multa di 309 euro. Secondo le due studiose, «la militarizzazione del cantiere è l’antitesi di principi riconosciuti, anche a livello internazionale, quali la partecipazione delle popolazioni interessate ai procedimenti decisionali in materia ambientale come affermato dagli articoli 6 (Partecipazione pubblica in decisioni su attività specifiche) e 7 (Partecipazione pubblica ai piani, ai programmi e alle politiche in materia ambientale) della Convenzione di Aarhus (1998), recepita in Italia con la legge 16 marzo 2001 (n. 108)». E vacillano anche i presupposti in materia di sostenibilità ambientale della Carta europea dei diritti fondamentali.
Chiomonte-Napoli
Alle radici, esiste una mancanza di «pianificazione politica» che ha portato l’autorità amministrativa italiana al ricorso continuo e spropositato di strumenti giuridici «straordinari». «È stato, inoltre, praticamente negato ai rappresentanti istituzionali, dissidenti verso l’opera, il diritto di prendere parte all’Osservatorio presieduto dall’architetto Mario Virano. Estromettendo le popolazioni e gli enti locali dai procedimenti decisionali i rischi sono una radicalizzazione del conflitto Stato – cittadini e una minore trasparenza dell’attività amministrativa». Il caso paradigmatico della Val di Susa riporta alla memoria la recente gestione rifiuti in Campania, dove nel 2008 si sperimentò un decreto per rendere le discariche napoletane «siti di interesse strategico», con l’impiego di militari. Chiomonte e Napoli, mille chilometri di distanza: «Ma terre di guerra in cui si ricorre alla forza e a poteri derogatori sul piano normativo. Il tutto – concludono Bauduin e Falletti – in nome dell’emergenza e di una efficienza che mortifica un modo diverso di gestire la cosa pubblica e di svolgere attività amministrative ordinarie».