da Libero Dissenso – Un altro colpo di scena: dopo la Cassazione che aveva dato loro ragione, i ragazzi No Tav accusati di terrorismo hanno rinunciato al Riesame. Detta così potrebbe sembrare un controsenso. In realtà la mossa è intelligente.
Gli uffici giudiziari di Torino, nella loro caccia alle streghe, erano riusciti a trasformare persino un istituto a tutela degli indagati, in una trappola. Vediamo cosa è successo.
Come dovrebbe funzionare
Il tribunale del Riesame è un collegio composto da tre giudici a cui un indagato può ricorrere quando ritiene che la decisione di un gip sia sbagliata. Tre teste pensano meglio di una. Di solito. I tre giudici dell’indagine per terrorismo, tuttavia, avevano preso una serie di cantonate tali che la Cassazione, a maggio, aveva annullato l’ordinanza rimandando le carte al Riesame di Torino perché riformulasse il capo d’imputazione. Logica e correttezza vorrebbe, a questo punto, che a valutare nuovamente il caso vengano chiamati altri tre giudici. Di solito così avviene. Questo per evitare motivi di rivalsa ma anche, diciamolo, per togliere i tre giudici originali dall’imbarazzo di dovere smentire se stessi. Se si tratta di No Tav, tuttavia, viene meno anche l’imbarazzo.
Cosa è andata invece
La data per il nuovo Riesame, fissata a quasi cinque mesi di distanza, è cambiata tre volte: prima il 2 ottobre, quindi il 29 settembre, infine il 6 ottobre seguendo le richieste di una sola parte, la Procura, visto che alla difesa non è mai stato chiesto un beneamato. Caso vuole che di turno il 6 ottobre ci fosse lo stesso collegio che in prima istanza si era espresso in modo negativo (cambiava solo il relatore).
Tutto qui? Macché.
Ti nascondo le carte
Le regole deontologiche dei pm dicono che questi ultimi devono inseguire la verità, ovunque essa porti. Per questo, e per i principi del giusto processo, la Procura non può nascondere prove alla difesa. Un principio a cui, però, si può formalmente ottemperare pur non facendolo nella sostanza. E infatti… La Procura aveva cinque mesi di tempo per depositare nuovi atti. Indovinate quando lo ha fatto? Venerdì 3 ottobre alle 13.30, quando chiude la cancelleria, impedendo di fatto alla difesa di poter visionare le carte fino a lunedì mattina, giorno dell’udienza.
Con il collegio che sappiamo e senza un atto per le mani, gli avvocati scoprono dall’elenco degli atti depositati che si tratta per la maggior parte di documenti e testimonianze esclusi dalla Corte d’Assise perché non pertinenti, suggestivi o per cui è impossibile un contraddittorio.
Ah, quale mirabile paradosso!
Non solo grazie alla lentezza degli uffici giudiziari si arriva a valutare se i No Tav dovevano essere incarcerati praticamente quando il loro processo è alle battute finali, ma il Riesame dovrebbe valutare sulla base di materiale che non è nemmeno agli atti del processo. Roba che puzza di trappola lontano un miglio. Sottoporsi di nuovo alla falange procura-riesame già autrice di memorabili perle come il terrorismo per danno d’immagine al Paese? No, grazie. La Cassazione è stata chiara nel tracciare alcuni paletti e chiunque abbia assistito al processo in corso sa cosa è davvero successo quella notte. I ragazzi sono chiari e lineari: non perdiamo tempo.
Le istituzioni e le conseguenze
Il vero problema è che per evitare questa trappola quattro persone hanno dovuto rinunciare a un loro diritto, un diritto che è costituzionalmente garantito. Criticare questi sotterfugi, siamo sicuri, farà inalberare gli ipocriti benpensanti che si schiereranno a difesa del guscio formale delle istituzioni: non sia mai che si critichi il Sacro Palazzo e quei magistrati “sempre dediti…”, “il cui impegno quotidiano…”, “con l’encomiabile sacrificio nella lotta a…”. Lasciateci dire, pur con questo non schierandoci con chi apprezza certe strutture, che chi ha veramente a cuore le istituzioni non può non domandarsi quanto danno, certe persone operanti al loro interno, stanno arrecando alle istituzioni stesse con questi miseri trucchetti. La credibilità non è una caratteristica a priori, ce la si conquista ogni giorno sul campo.