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Pubblichiamo qui un approfondimento sul tema dell’alta velocità in val di Susa e non solo a cura del sociologo torinese Marco Revelli. Figlio del partigiano-scrittore Nuto Revelli, è titolare delle cattedre di Scienza della politica, Sistemi Politici e Amministrativi Comparati e Teorie dell’Amministrazione e Politiche Pubbliche presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, si è occupato tra l’altro dell’analisi dei processi produttivi (fordismo, post-fordismo, globalizzazione), della “cultura di destra” e, più in genere, delle forme politiche del Novecento. È coautore con Scipione Guarracino e Peppino Ortoleva di uno dei più diffusi manuali scolastici di storia moderna e contemporanea (Bruno Mondadori, 1°ed. 1993).
di Marco revelli Un caloroso saluto a tutti gli amici di Passaparola, oggi parliamo di Tav, del Tav sostantivo maschile perché l’acronimo significa treno a alta velocità, credo che ormai tutti lo sappiano. Il Tav è un’impresa inutile dal punto di vista trasportistico, dannosa dal punto di vista ambientale e insostenibile dal punto di vista economico e finanziario.
I numeri sono stati detti, ridetti, ripetuti, le fonti sono pubbliche, accessibili vale per tutti il sito di Alp-Info, la più importante agenzia che monitorizza i flussi di merci e di persone, ma soprattutto di merci attraverso le Alpi, quella linea famigerata Torino — Lione che secondo i calcoli di chi iniziò questa follia, all’inizio degli anni 90 portava alcuni milioni di tonnellate attraverso il confine. Quei treni che portavano alcuni milioni di merci, avrebbero dovuto nel corso dei primi due decenni del nuovo secolo, saturare la linea storica, schizzare a oltre 20 milioni di tonnellate all’anno e imporre, quindi, la nuova impresa, bucare per 53 o forse 56 chilometri la montagna e poi attraverso altri tunnel, un’altra ventina, trentina di chilometri di tunnel, favorire il passaggio di almeno 30, 40 milioni di tonnellate di merci.