Ieri si è finalmente tornato a parlare del grande rimosso dal dibattito sulla seconda linea Torino-Lione, la presenza, acclarata e certificata da tutti gli esperti, di ingenti quantità d’amianto sul tracciato del TAV. A sollevare il problema è stato il ministro dell’ambiente, Sergio Costa. “Ho rappresentato in modo anche corposo al resto del Governo che alcuni percorsi del Tav tagliano delle colline che presentano problemi amiantiferi. Questa per me è una preoccupazione“ ha dichiarato il ministro durante la giornata mondiale per le vittime dell’amianto a Casale Monferrato.
Nonostante le rassicurazioni che arrivano da parte della macchina mediatica, affaristica e politica che spinge per realizzazione del supertunnel, la presenza di alte concentrazioni di amianto in particolare nel versante destro della Val Cenischia e nella collina morenica è un fatto. Lo attestano gli stessi progettisti in un documento del 5 maggio 2017 a seguito dello scavo del tunnel geognostico. Possiamo leggere che le rocce intercettate dal Tunnel di Base a est della Piana di Susa “sono caratterizzate dalla presenza ubiquitaria di amianto (tremolite, actinolite e crisotilo), in forma sia fibrosa che aciculare, e da concentrazioni in amiano totale altamente variabili. Considerando i risultati ottenuti dai sondaggi S9 ed S11 è quindi ipotizzabile che le metabasiti attese a partire da circa 400 metri dall’imbocco est del Tunnel di Base siano caratterizzate da concentrazioni in amianto localmente anche elevate”. I rischi legati alla presenza di amianto vengono però continuamente minimizzati, d’altronde occhio non vede cuore non duole, così nel 2015 TELT ha dimezzato i già pochissimi esami sulla presenza di amianto con la scusa di voler ridurre i costi e “con il parere favorevole degli enti di controllo” è stato anche deciso di interrompere il monitoraggio delle concentrazione di radon nell’aria, che è essenziale per identificare la presenza di uranio, che è una delle più pesanti incognite di questo cantiere.
Per quanto riguarda lo smaltimento del materiale pericoloso, che porterebbe centinaia di camion carichi di amianto su e giù per la Valsusa per anni, non c’è da star sereni. Il progetto antecedente al 2017 prevedeva di mettere le rocce amiantifere in contenitori di cemento da un metro cubo, poi 12 contenitori per vagone da spedire nel nord della Germania con treni di 11 vagoni, ciascuno che significava caricare 1.000 treni appositi ogni 500 metri di doppia galleria di avanzamento. L’ultima soluzione prevede di stoccarlo in gallerie scavate appositamente ma quelle predisposte bastano solo per i primi 420 metri del tunnel di base in cui è nota la sua presenza. Crearne altre vorrebbe dire interrompere i lavori di scavo almeno per un anno cosa che sembra irrealistica sia per i costi che per il rispetto di un cronoprogramma.
Se pensiamo poi che una delle ditte più attive sul cantiere del TAV fino a oggi è stata la cooperativa CMC, i cui vertici sono stati appena condannati per reati ambientali per aver creato delle discariche abusive coi fanghi dei drenaggi del canale Candiano di Ravenna, ci si rende facilmente conto della cinica partita che la lobby del TAV giocando sulla pelle di valsusini e torinesi.
NOTAV = NOAMIANTO